La sentenza è importante perché interviene a chiarire un concetto chiave in materia di accoglienza dei richiedenti asilo, cioè se gli Stati, qualora decidano di fornire tale accoglienza in denaro anziché in natura (ad esempio perché i posti disponibili all'interno dei centri di accoglienza sono esauriti), debbano garantire che tale contributo sia fornito sin dal momento della presentazione della domanda di protezione internazionale e quale debba essere l'importo del contributo.
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I fatti alla base della controversia
La famiglia Saciri (genitori + 3 figli) presentava domanda di asilo in Belgio nell'ottobre 2010 e, contestualmente, avanzava richiesta di accoglienza a Fedasil (l'Agenzia Federale belga per l'accoglienza dei richiedenti asilo). Questa informava i richiedenti che non vi era alcuna struttura disponibile per la loro sistemazione. La famiglia si rivolgeva dunque al mercato privato e, non avendo mezzi a disposizione per pagare il canone, presentava domanda di supporto finanziario all'assistenza sociale. La domanda veniva però rifiutata in quanto la famiglia avrebbe dovuto essere accolta in una struttura per richiedenti asilo di Fedasil.
Il “corto circuito” si risolveva solo dopo tre mesi, quando – il 21 gennaio 2011 – Fedasil trovava una sistemazione per la famiglia in un centro di accoglienza per richiedenti asilo.
Nel frattempo però i Saciri si erano rivolti a un giudice il quale, nell'ottobre 2011, condannava Fedasil a versare alla famiglia l'equivalente di 3 mesi di reddito minimo di inserimento per una persona con famiglia a carico (poco meno di 3.000 euro).
Fedasil impugnava la decisione davanti al Tribunale del lavoro di Bruxelles, il quale decideva di sospendere il giudizio e di rivolgere alla Corte le seguenti domande pregiudiziali:
“1) Se uno Stato membro, qualora, in applicazione dell’articolo 13, paragrafo 5, della direttiva 2003/9 (…), scelga di garantire il sostegno materiale in forma di un sussidio economico, continui ad avere la responsabilità di far sì che il richiedente asilo, in un modo o nell’altro, possa avvalersi delle norme minime di protezione di [tale] direttiva, come formulate agli articoli 13, paragrafi 1 e 2,14, paragrafi 1, 3,5 e 8, della medesima.
2) Se il sussidio economico, di cui all’articolo 13, paragrafo 5, della direttiva [2003/9], debba essere concesso con decorrenza dal momento della domanda di asilo e della domanda di accoglienza, oppure dalla scadenza del termine previsto all’articolo 5, paragrafo 1, di [tale] direttiva, oppure da un’altra data. Se il sussidio economico debba essere tale da consentire al richiedente asilo, in caso di mancata accoglienza materiale offerta dallo Stato membro o da un organismo da questo indicato, di provvedere esso stesso in ogni momento al proprio alloggio, eventualmente in una struttura alberghiera, in attesa che gli venga offerto un alloggio fisso o che egli stesso sia in grado ottenere un alloggio più definitivo.
3)Se sia compatibile con la direttiva [2003/9] che uno Stato membro conceda l’accoglienza materiale solo nei limiti in cui le strutture di accoglienza esistenti, predisposte dallo Stato, sono in grado di assicurare detto alloggio e rinvii il richiedente asilo che non vi trovi posto all’assistenza sociale, a disposizione di tutti i cittadini dello Stato membro, e ciò in assenza delle norme giuridiche e delle strutture necessarie affinché gli enti non costituiti dallo Stato stesso siano effettivamente in grado di offrire ai richiedenti asilo entro un breve termine un’accoglienza dignitosa”
La risposta della Corte
La prima e la seconda questione
La Corte decide di esaminare congiuntamente le prime due domande, con le quali il giudice belga chiede in sostanza ai giudici di Lussemburgo di chiarire, quando uno Stato sceglie di fornire le condizioni di accoglienza previste dalla Direttiva 2003/9/CE in denaro anziché in natura,
1 - da quale momento deve essere fornito il sussidio economico;
2 - di quale importo deve essere tale sussidio (e se deve essere sufficiente per permettere ai richiedenti asilo di ottenere in maniera autonoma un alloggio);
3 – se lo Stato rimane vincolato a garantire il rispetto delle modalità delle condizioni materiali di accoglienza previste dall'art. 14 par. 1, 3, 5, 8 della Direttiva 2003/9/CE (e che prevedono regole sulla tipologia di centri di accoglienza che possono essere usati per ospitare i richiedenti asilo, sulla formazione degli operatori che vi lavorano, ma anche sull'obbligo, se del caso, di alloggiare i minori assieme ai genitori o a familiari adulti responsabili per loro)
1. Circa il “quando”, la Corte si rifà ad una sua precedente sentenza da noi già esaminata (Cimade e GISTI, C-179/11, del 27 settembre 2012) in cui i giudici di Lussemburgo avevano già avuto modo di precisare che l'accoglienza deve essere fornita dal momento in cui è presentata la domanda di asilo.
“[L]’economia generale e la finalità della direttiva 2003/9 nonché il rispetto dei diritti fondamentali – e segnatamente delle prescrizioni dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a norma del quale la dignità umana deve essere rispettata e tutelata – ostano a che un richiedente asilo venga privato, anche solo per un periodo temporaneo dopo la presentazione di una domanda di asilo, della protezione conferita dalle norme minime dettate dalla citata direttiva” (par. 35 della sentenza)
Si tratta di un principio molto importante che vogliamo sottolineare ancora una volta: il richiedente asilo, in virtù della sua particolare condizione di vulnerabilità, deve essere sempre “coperto” da misure di accoglienza, siano esse fornite in natura o in denaro. La Corte non lo dice espressamente (in quanto non le è stato espressamente chiesto) ma – come avevamo avuto modo di affermare già in sede di commento alla sentenza Cimade e GISTI – le stesse ragioni alla base di questa decisione (ovvero le finalità della Direttiva Accoglienza e, ancor di più, il rispetto dei diritti fondamentali) impongono che tale “copertura” del richiedente asilo debba esistere anche in quella fase che va dalla manifestazione della volontà di chiedere asilo alla cosiddetta “formalizzazione” dell'istanza, in quanto tale periodo – che in Italia può estendersi fino a svariati mesi – non dipende certo dal richiedente asilo ma dalla Pubblica Amministrazione.
2. Quindi la Corte passa al "quanto" del sussidio.
L'art. 13 par. 5 della Direttiva stabilisce che
“Qualora gli Stati membri forniscano le condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici o buoni, l'ammontare dei medesimi è fissato in conformità dei principi stabiliti nel presente articolo”Quali sono questi principi? Ad esempio, nel par. 2 si ritrova l'obbligo per gli Stati di garantire “una qualità di vita adeguata per la salute ed il sostentamento dei richiedenti asilo.”
La Corte inoltre ricorda come l'obiettivo stesso della Direttiva sia quello di “stabilire norme minime in materia di accoglienza dei richiedenti asilo che siano normalmente sufficienti a garantire loro un livello di vita dignitoso e condizioni di vita analoghe in tutti gli Stati membri” (par. 39)
Pertanto, “qualora uno Stato membro abbia scelto di fornire le condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici, tali sussidi devono essere sufficienti a garantire un livello di vita dignitoso e adeguato per la salute nonché il sostentamento dei richiedenti asilo, consentendo loro, in particolare, di disporre di un alloggio, se del caso, nell’ambito del mercato privato della locazione.” (par. 42)
Inoltre, poiché la Direttiva 2003/9/CE obbliga gli Stati ad adattare le condizioni di accoglienza alla situazione delle persone portatrici di particolari esigenze (elencate all'art. 17 della Direttiva: minori, anziani, disabili, donne in stato di gravidanza, genitori soli, vittime di tortura), i sussidi economici devono tener conto anche di queste particolari esigenze.
Dunque, riassumendo: lo Stato non fornisce ai richiedenti asilo le condizioni materiali di accoglienza in natura? Non è un problema, nella misura in cui venga però corrisposto un sussidio che, tenendo conto anche delle eventuali particolari esigenze, sia idoneo a garantire condizioni di vita dignitose e, dunque, anche un alloggio, se necessario reperito sul mercato privato.
Tuttavia, la Corte tempera questa affermazione, precisando (par. 43) che non è obbligatorio per gli Stati “lasciare ai richiedenti asilo la scelta di un alloggio secondo la loro convenienza personale”.
L'espressione non è molto chiara ma immaginiamo che significhi che, ad esempio, uno Stato possa stabilire un tetto massimo per il rimborso del canone di affitto, al fine di evitare abusi.
3. Quanto, poi alla domanda sull'obbligo di rispettare le condizioni previste all'articolo 14 par. 1, 3, 5, 8 della Direttiva 2003/09, la Corte risponde che tali disposizioni, in linea di principio, si applicano – per la loro stessa essenza – solo qualora gli Stati offrano accoglienza in natura. (par. 44)
Tuttavia, aggiungono i giudici facendo riferimento all'art. 14 par. 3 (obbligo, se del caso, di alloggiare assieme minori e genitori o altri adulti responsabili per loro), qualora lo Stato decida di offrire accoglienza in denaro e non in natura, il sussidio economico deve essere di tale valore da consentire ai figli minori dei richiedenti asilo di convivere con i genitori in modo da poter mantenere l'unità familiare.
La terza questione
La Corte passa quindi a rispondere alla terza questione, con la quale il giudice del rinvio aveva chiesto se la Direttiva 2003/9/CE possa permettere a uno Stato di indirizzare i richiedenti asilo al sistema generale di assistenza pubblica, in caso di saturazione del sistema di accoglienza loro dedicato.
La risposta della Corte è molto semplice: gli Stati hanno potere discrezionale relativamente ai mezzi con i quali arrivare all'obiettivo fissato dalla Direttiva. Ciò che conta è che il sistema generale di assistenza pubblica garantisca ai richiedenti asilo il rispetto delle norme previste dalla Direttiva. (par. 49)
Infatti, come sottolineano i giudici di Lussemburgo, “la saturazione delle reti di accoglienza non può giustificare alcuna deroga all'osservanza di tali norme” (par. 50)
Insomma, non importa chi fornisce le condizioni di accoglienza, l'importante è che tali condizioni siano fornite, nel rispetto della Direttiva.
La nuova Direttiva Accoglienza
Infine, facciamo notare che nella nuova Direttiva Accoglienza (2013/33/UE), che gli Stati sono obbligati a recepire nel proprio ordinamento interno entro il 20 luglio 2015, la questione è regolata in maniera più precisa dall'art. 17, a tenore del quale:
- gli Stati devono garantire ai richiedenti l'accesso all'accoglienza “nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale”. Nessuna possibilità dunque di distinguere tra manifestazione e formalizzazione della domanda;
- le condizioni di accoglienza devono garantire il sostentamento dei richiedenti e la tutela della salute, si specifica, fisica e mentale;
- qualora l'accoglienza sia fornita in sussidi economici o buoni, il loro ammontare deve essere fissato sulla base di quello previsto per i cittadini, salvo la possibilità di accordare ai richiedenti asilo un trattamento meno favorevole se il sussidio per i cittadini è pensato per garantire un tenore di vita più elevato rispetto a quello prescritto dalla Direttiva Accoglienza o qualora il sostegno materiale è parzialmente fornito ai richiedenti asilo in natura.
Queste dunque le risposte della Corte di Giustizia dell'UE alle domande pregiudiziali del giudice belga:
1) L’articolo 13, paragrafo 5, della direttiva [accoglienza], deve essere interpretato nel senso che, qualora uno Stato membro abbia scelto di concedere le condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici o buoni, questi sussidi devono essere forniti dal momento di presentazione della domanda di asilo, conformemente alle disposizioni dell’articolo 13, paragrafo 1, di detta direttiva, e rispondere alle norme minime sancite dalle disposizioni dell’articolo 13, paragrafo 2, della medesima direttiva. Tale Stato membro deve assicurare che l’importo totale dei sussidi economici che coprono le condizioni materiali di accoglienza sia sufficiente a garantire un livello di vita dignitoso e adeguato per la salute nonché il sostentamento dei richiedenti asilo, consentendo loro, in particolare, di disporre di un alloggio, tenendo conto eventualmente della salvaguardia dell’interesse delle persone portatrici di particolari esigenze, in forza delle disposizioni dell’articolo 17 della medesima direttiva. Le condizioni materiali di accoglienza previste all’articolo 14, paragrafi 1, 3, 5 e 8, della direttiva 2003/9 non sono imposte agli Stati membri qualora essi abbiano scelto di concedere tali condizioni unicamente in forma di sussidi economici. Tuttavia, l’importo di questi sussidi deve essere sufficiente a consentire ai figli minori di convivere con i genitori in modo da poter mantenere l’unità familiare dei richiedenti asilo.
2) La direttiva 2003/9 deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che gli Stati membri, in caso di saturazione delle strutture d’alloggio destinate ai richiedenti asilo, possano rinviare questi ultimi verso organismi appartenenti al sistema generale di assistenza pubblica, purché tale sistema garantisca ai richiedenti asilo il rispetto delle norme minime previste da detta direttiva.
Vai alla sentenza della CGUE nel caso Saciri (C-79-13)