Credit: European Court of Human Rights |
La detenzione dei richiedenti asilo appartenenti a categorie vulnerabili - Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nella causa O.M. contro Ungheria (ricorso n. 9912/15)
Oggi pubblichiamo la nostra analisi di un’interessante sentenza emessa il 5 luglio 2016 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo relativa ad un caso di detenzione in Ungheria di un richiedente asilo iraniano: O.M. contro Ungheria. La Corte ha sostenuto che la detenzione del ricorrente, il quale aveva presentato domanda di asilo in Ungheria sulla base del proprio orientamento sessuale, fosse in violazione dell’art. 5 CEDU sul diritto alla libertà e sicurezza. Vedremo come nell’ambito dell’accertamento del carattere arbitrario della misura detentiva adottata dall’Ungheria, la Corte EDU dà particolare rilievo alla condizione di vulnerabilità del ricorrente, in quanto appartenente ad una minoranza sessuale in Iran.
La causa in esame ha ad oggetto la
presunta violazione dell'articolo 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
(CEDU) da parte del governo ungherese. Il
ricorrente è un cittadino iraniano che ha presentato domanda di asilo in
Ungheria sulla base del proprio orientamento sessuale. Il ricorrente è stato
detenuto dalle autorità ungheresi nell'ambito della procedura di asilo ed è
proprio tale detenzione ad essere al vaglio della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo. Nel procedimento dinanzi alla Corte intervengono congiuntamente,
quali terze parti, l'Advice on Individual Rights In Europe Centre (AIRE
Centre), l'European Region of the International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans
and Intersex Association (ILGA-EUROPE), l'International Commission of Jurists
(ICJ) e l'European Council on Refugees and Exiles (ECRE).
I fatti alla base della controversia
Il caso concerne il cittadino iraniano
O.M., entrato irregolarmente in Ungheria in data 24 giugno 2014 attraverso il
confine con la Serbia, dove veniva fermato dalle autorità poiché sprovvisto di
documenti di identità o di soggiorno. Successivamente, O.M. presentò domanda di
asilo.
All’udienza
del 25 giugno 2014 davanti all’Ufficio Immigrazione, O.M. dichiarò di essere
fuggito dall’Iran per il suo orientamento sessuale e di essere arrivato in
Ungheria senza documenti e tramite un trafficante di esseri umani. In quella sede
reiterò la propria intenzione di richiedere la protezione internazionale.
A
seguito dell’udienza, le autorità ordinarono la detenzione di O.M., in quanto
la sua identità e nazionalità non risultavano provate. Inoltre, secondo le
autorità, vi era ragione di ritenere che, se lasciato libero, il richiedente
avrebbe potuto far perdere le proprie tracce, frustrando così la procedura
d’asilo, in quanto era giunto in Ungheria in modo irregolare e non aveva nessun
legame nel Paese o alcun mezzo di sostentamento. A norma della legge ungherese
la detenzione dei richiedenti asilo può essere ordinata per un massimo di 72
ore, ma ne può essere richiesta l’estensione.
In data 26 giugno 2014, venne richiesta l’estensione della detenzione per un
massimo di 60 giorni, con la motivazione che i richiedenti asilo di nazionalità
iraniana tendono a far perdere le proprie tracce, creando dunque problemi nella
procedura d’asilo. Inoltre, vennero reiterati l’ingresso irregolare, la
mancanza di legami e di mezzi di sostentamento in Ungheria quali circostanze
tali da giustificare l’estensione della detenzione. La Corte del Distretto di
Debrecen accolse tale richiesta, estendendo dunque la detenzione per 60 giorni
e rigettando la richiesta di liberazione avanzata dal richiedente asilo.
Secondo la Corte, misure meno severe non sarebbero state in grado di assicurare
la presenza del richiedente durante la procedura di asilo. Nessun riferimento
veniva invece fatto alle circostanze individuali del signor O.M., tanto meno al
suo orientamento sessuale.
Il
richiedente asilo ripresentò successivamente richiesta di liberazione (o di
trasferimento presso altra struttura non detentiva), ma le autorità non
inoltrarono tale richiesta sostenendo che, poiché l’udienza relativa alla richiesta
di asilo si sarebbe tenuta da lì a poco, il signor O.M. avrebbe potuto dare
prova della propria identità in quella sede. Dunque, all’udienza per la
richiesta di asilo, tenutasi in data 18 luglio 2014, il signor O.M. reiterò la
propria richiesta di liberazione, sostenendo che, stante il suo orientamento
sessuale, era difficile per lui sostenere le condizioni detentive, in
particolare per il timore di molestie (paragrafo 14). Meno di un mese dopo
l’udienza, in data 11 agosto 2014, le autorità presentarono una nuova richiesta
di detenzione, che fu però rigettata in quanto non motivata adeguatamente.
In
data 31 ottobre 2014 al signor O.M. fu riconosciuto lo status di rifugiato.
Complessivamente, la detenzione era durata dal 25 giugno al 22 agosto 2014.
La questione sottoposta alla Corte
La Corte è chiamata a giudicare se la
detenzione alla quale il signor O.M. è stato sottoposto rispetti o meno i
limiti posti dall’articolo 5 CEDU.
Le argomentazioni delle parti
1) Il ricorrente
Il ricorrente sostiene che la detenzione
non trova giustificazione ai sensi dell’articolo 5 CEDU. Secondo la difesa del
signor O.M., sarebbe illogico ritenere che sia volontà dello stesso
allontanarsi dall’Ungheria, frustrando così la procedura di asilo, in quanto
quest’ultima inizia specificatamente ad impulso del richiedente asilo. Inoltre,
la difesa del ricorrente si basa sul fatto che la detenzione possa essere
ordinata solo quando vi è una obbligazione prevista dalla legge, la quale sia
formulata in maniera chiara e concreta. Di contro, la legge ungherese non
prevede formalmente nessun obbligo di dimostrare la propria identità per i
richiedenti asilo.
Infine,
anche qualora tale obbligazione fosse prevista, non potrebbe comunque ritenersi
legittima, in quanto, secondo il ricorrente, nessuna analisi circa la
proporzionalità o la necessità della misura detentiva è stata posta in essere
dalle autorità. In particolare, nessuna considerazione è stata date alle Linee
Guida dell’UNHCR in materia di richieste di asilo fondate sull’orientamento
sessuale e sull’identità di genere. Nel caso di specie, l’orientamento sessuale
del ricorrente non è stato preso in considerazione nell’ordinare la detenzione,
così come non vi è stata una adeguata valutazione delle circostanze personali
del richiedente asilo (paragrafo 32).
2) Il Governo ungherese
Il Governo ungherese rigetta l’accusa di
detenzione illegittima da parte del ricorrente, in quanto tale misura trova
giustificazione nell’obbligo, gravante sul richiedente asilo a norma del
diritto interno, di rendere note le informazioni personali ai fini della
procedura di asilo. Secondo il Governo ungherese, le circostanze del caso
(quali l’ingresso irregolare) non rendevano affatto remota la possibilità che
il signor O.M. potesse fuggire, vanificando così la procedura di asilo. La
detenzione è quindi stata ordinata sulla base di un attento esame delle
circostanze individuali del caso.
Inoltre,
secondo il resistente, le Linee Guida UNHCR non sono cogenti, poiché si tratta solo
di raccomandazioni. Secondo la difesa ungherese, non vi era nessuna indicazione
che il richiedente asilo potesse trovarsi in pericolo a causa del proprio
orientamento sessuale nella struttura detentiva di Debrecen; ciò in quanto non
ha riportato alcun episodio di violenza fisica o psichica avvenuto durante la
detenzione, né si è mai lamentato di ciò con le autorità. Ad ogni modo, secondo
il governo ungherese, il rischio di abusi era minimo, poiché le guardie
preposte alla struttura erano in numero sufficiente a garantirne la sicurezza.
2) L’intervento delle terze parti
Nel loro intervento congiunto, AIRE, ECRE,
ILGA e ICJ sottolineano l’importanza delle Linee Guida UNHCR, in virtù del
mandato di supervisione che quest’ultimo esercita sulla Convenzione relativa
allo status dei rifugiati. Secondo le terze parti, il diritto nazionale e
quello europeo devono essere interpretati in armonia con la Convenzione ed alla
luce delle Linee Guida. Per tale motivo, le inconsistenze fra il diritto
nazionale e le pratiche sviluppate da UNHCR dovrebbero costituire un indicatore
di arbitrarietà ai fini dell’articolo 5 CEDU (paragrafo 39).
Il ragionamento della Corte
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Dopo essersi pronunciata sulla
ammissibilità del ricorso, la Corte decide che la richiesta può essere
esaminata solo alla luce dell’articolo 5 CEDU e non anche per l’articolo 4
CEDU, come originariamente argomentato dal ricorrente.
Dunque,
la Corte procede ad un’analisi dell’articolo 5 CEDU, soffermandosi in
particolare sul concetto di arbitrarietà. Infatti, secondo la Corte di
Strasburgo, anche se la detenzione rispetta il diritto nazionale interno, può
comunque risultare “arbitraria” ai sensi della CEDU. A tal proposito, la Corte
sottolinea come la detenzione sia ammissibile, in base all'articolo 5, solo
laddove sia funzionale all'adempimento di una obbligazione prevista dalla
legge; quindi, può essere ordinata solo qualora:
- vi sia una obbligazione non adempiuta incombente sulla persona sottoposta a detenzione;
- la detenzione sia veramente necessaria e specifica;
- il principio di proporzionalità sia rispettato.
La
Corte sostiene che la legislazione ungherese non prevede l'obbligo, per i
richiedenti asilo, di provare la propria identità, ma solo il dovere di
collaborare con le autorità preposte alla procedura di asilo. Alla luce di tale
considerazione, è opinione della Corte che il signor O.M. abbia fatto ciò che
era in suo potere al fine di chiarire la propria identità, fornendo anche
diverse dichiarazioni coerenti circa le ragioni che lo hanno portato a lasciare
il suo Paese; non vi è dunque alcuna indicazione che faccia ritenere che il
ricorrente non abbia collaborato con le autorità.
Inoltre,
secondo i Giudici, la decisione di detenere il ricorrente non è stata preceduta
da un accertamento individuale della sua situazione personale, nonostante ciò
sia previsto dalla legge. Nel caso del signor O.M., infatti, la detenzione è
stata motivata solo scarsamente, in particolare facendo meramente riferimento
al fatto che, secondo le autorità, egli non era stato in grado di provare la
propria identità. Ciò porta la Corte a concludere che la situazione del
ricorrente non sia stata indagata in modo sufficiente, così come invece
richiesto dal diritto interno (paragrafo 52).
Infine,
la Corte evidenzia come particolare riguardo dovrebbe essere prestato, da
parte delle autorità, nel decidere la sistemazione dei richiedenti asilo che
dichiarino di essere parte, nel proprio Paese di origine, di un gruppo
vulnerabile. Tale accortezza, osserva la Corte, appare necessaria al fine di
evitare il riproporsi di quelle difficoltà che hanno obbligato queste persone a
fuggire dal proprio Paese (paragrafo 53). Nel caso in esame, le autorità
ungheresi non hanno approntato queste cautele, in quanto hanno ordinato la
detenzione del ricorrente senza prendere in adeguata considerazione se soggetti
vulnerabili – quali le persone lesbiche, gay, bisessuali o transgender (LGBT) –
potessero essere al sicuro o meno nelle strutture detentive, stante soprattutto
la presenza di persone provenienti da paesi dove vi sono forti pregiudizi
culturali o religiosi verso gli individui LGBT. In questo senso, la decisione
delle autorità non ha tenuto in adeguata considerazione le circostanze
personali del signor O.M., la cui vulnerabilità deriva proprio dal suo
appartenere ad una minoranza sessuale in Iran.
In conclusione, la Corte,
all'unanimità, dichiara che l'Ungheria ha violato l'articolo 5 della CEDU. Per
tale motivo, la condanna al pagamento di euro 7.500,00 a titolo di equa
soddisfazione per i danni non patrimoniali, unitamente ad euro 3.395,00 per i
costi e le spese della procedura in favore del ricorrente.
Vai alla sentenza O.M. contro Ungheria.