lunedì 4 giugno 2012

Focus su Schengen. Quale futuro per lo spazio senza controlli alle frontiere interne? - Parte 2


Come anticipato, oggi parliamo delle "Linee guida per assicurare un'applicazione e interpretazione coerenti delle regole (l'acquis) di Schengen" contenute nell'allegato II alla Relazione biennale sul funzionamento dello spazio Schengen, pubblicata dalla Commissione europea lo scorso 16 maggio (V. nostro precedente post qui).

Le linee guida si concentrano solo su due aspetti - identificati dalla Commissione come i punti più appropriati per l'emanazione delle stesse - e sono il frutto di una serie di incontri con i rappresentanti degli Stati membri, tenutisi nella seconda metà del 2011.

Non si tratta in sé e per sé di uno strumento vincolante, anche se – come si dirà meglio in seguito – alcune di queste "linee guida" contengono indicazioni piuttosto precise.

Come già detto nel nostro precedente post, è ovviamente impossibile considerare le attuali proposte di modifica delle regole (l'acquis) di Schengen (di cui di occuperemo in un prossimo messaggio) e queste "linee guida" in maniera separata dal periodo e dal contesto in cui sono state generate: un periodo di crisi economica e di nuove o rinnovate paure e spinte xenofobe e solo pochi mesi dopo la vibrante polemica tra Francia e Italia – e forse ancor di più tra Francia e Italia unite contro la Commissione europea - seguita al rilascio da parte dell'Italia di permessi di soggiorno temporanei ai migranti tunisini arrivati nei primi mesi del 2011.



Come detto, sono due gli aspetti toccati dalle Linee Guida:
  1. il rilascio di permessi di soggiorno temporanei e di titoli di viaggio a cittadini di Paesi terzi;
  2. le misure di polizia nelle zone di frontiera interna


1. Rilascio di permessi di soggiorno temporanei e di titoli di viaggio a cittadini di Paesi terzi

Circa il primo punto, nell'introduzione si ricorda innanzitutto che le regole di Schengen armonizzano le normative in materia di visti di breve durata, non anche delle condizioni per il rilascio di visti di lunga durata, permessi di soggiorno e titoli di viaggio, che sono invece regolate (generalmente) dalle normative nazionali.
Vi sono però alcune rilevanti eccezioni, in cui il rilascio dei permessi di soggiorno e dei titoli di viaggio è disciplinato da regole dell'Unione (salva la possibilità per gli Stati di applicare regole più favorevoli). 
È il caso, molto importante ai nostri fini, dei titolari di protezione internazionale che, una volta riconosciuti dalle autorità nazionali (in base alle regole della Direttiva Qualifiche), devono ricevere un permesso di soggiorno valido per (almeno) 3 anni, se rifugiati, o 1 anno, se beneficiari di protezione sussidiaria, rinnovabile. Si noti, per inciso, che l'Italia si è qui avvalsa della suddetta possibilità di prevedere regole più favorevoli.
Quanto ai documenti di viaggio, gli Stati devono rilasciarlo ai rifugiati, mentre tale obbligo sussiste solo in forma ridotta nei confronti dei beneficiari di protezione sussidiaria (cioè solo se questi si trovano nell'impossibilità di ottenere un passaporto nazionale e, almeno fino a che non saranno scaduti i termini per il recepimento della nuova Direttiva Qualifiche, qualora sussistano gravi ragioni umanitarie che rendano necessaria la loro presenza in un altro Stato)
Anche ai richiedenti asilo è possibile, secondo la normativa UE (in particolare l'art. 6 della Direttiva Accoglienza) rilasciare documenti di viaggio, in presenza di gravi ragioni umanitarie che rendono necessaria la loro presenza in un altro Stato.

Nei confronti dei permessi per "motivi umanitari", invece, si applicano normative puramente nazionali.
Tuttavia, le regole di Schengen sanciscono il "principio di equivalenza" fra permessi di soggiorno e visti di lunga durata, da un lato, e visti di breve durata, dall'altro, quanto alla possibilità di circolare nello spazio Schengen per brevi periodi (massimo 3 mesi ogni sei). 
Per beneficiare di tale possibilità (oggetto di infinite discussioni la scorsa primavera), occorre che i possessori di permessi di soggiorno o visti di lunga durata rilasciati da uno Stato membro rispettino alcune condizioni, quali: 
- essere in possesso di un passaporto o titolo di viaggio; 
 - poter giustificare le ragioni e le condizioni del soggiorno e possedere mezzi di sussistenza sufficiente a tale scopo; 
- non essere segnalati nel Sistema di Informazione Schengen; 
- non essere considerati una minaccia all'ordine pubblico, alla sicurezza interna, alla salute pubblica o alle relazioni internazionali di qualunque Stato membro.

Tali verifiche spettano alle autorità dello Stato verso cui il possessore di visto di lunga durata o permesso di soggiorno si sposta e possono essere condotte sul territorio o, qualora i controlli alle frontiere interne fossero stati reintrodotti (nel rispetto del Codice delle Frontiere Schengen), anche in frontiera.

Molto importante: ciascuno Stato deve notificare alla Commissione quali permessi di soggiorno o visti di lunga durata sono equivalenti ai visti di breve durata. E gli altri Stati sono obbligati ad accettare tale equivalenza, ai fini della possibilità di circolare nell'area Schengen (qualora le altre condizioni di cui sopra siano rispettate).


Vediamo ora i principali punti toccati dalle "linee guida" su questo importante aspetto. Più sotto seguirà un breve commento.

In caso di improvviso e massiccio afflusso di cittadini di Paesi terzi (qualora ciò non comporti l'attivazione del meccanismo, per ora mai utilizzato, previsto dalla Direttiva Protezione Temporanea):
  • lo Stato interessato dovrebbe informare per tempo gli altri Stati e la Commissione della sua intenzione di rilasciare permessi di soggiorno e titoli di viaggio;
  • qualora tale Stato abbia la possibilità di scegliere fra diversi tipi di permessi di soggiorno, la scelta dovrebbe cadere su permessi che non siano equivalenti a visti di breve durata (nel senso visto sopra), qualora i migranti non soddisfino le condizioni per circolare nello spazio Schengen
    Ci pare curioso che, poco dopo aver ricordato che le verifiche sul rispetto di tali condizioni spettano allo Stato verso cui i migranti si spostano, qui si suggerisca esattamente il contrario. Cioè che sia lo Stato che rilascia i permessi di soggiorno a svolgere, preventivamente, questa verifica;
  • in caso di rilascio di permesso di soggiorno equivalente a un visto di breve durata, lo Stato dovrebbe informare il titolare delle condizioni per circolare nello spazio Schengen.


2. Misure di polizia nelle zone di frontiera interna

Quanto al secondo punto, nell'introduzione si sottolinea come l'abolizione dei controlli alle frontiere interne non pregiudichi il diritto degli Stati membri di esercitarvi poteri di polizia. A patto che tali misure non abbiano effetto equivalente a controlli di frontiera.
Il Codice Frontiere Schengen contiene un elenco di criteri (alcuni dei quali a dire il vero piuttosto ambigui) per valutare se tale equivalenza sussiste o meno.
La Corte di Giustizia dell'Unione europea, nel 2010 (caso Melki e Abdeli), ha stabilito che è contraria al diritto dell'Unione una "normativa nazionale che conferisce alle autorità di polizia dello Stato membro considerato la competenza a controllare, esclusivamente in una zona di 20 chilometri a partire dalla frontiera terrestre di tale Stato con gli Stati [dello spazio] Schengen [...], l’identità di qualsiasi persona – indipendentemente dal comportamento di quest’ultima e da circostanze particolari che dimostrino una minaccia per l’ordine pubblico – al fine di verificare il rispetto degli obblighi di legge riguardo al possesso, al porto e all’esibizione di titoli e documenti, senza prevedere la necessaria delimitazione di tale competenza, atta a garantire che l’esercizio pratico di quest’ultima non possa avere un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera".

 
Le Linee Guida, a riguardo, sottolineano quindi che:
  • i controlli di polizia sono possibili anche nelle zone di frontiera interna, al fine di verificare il diritto di un individuo di permanere sul territorio. Tuttavia, questi controlli debbono essere mirati, saltuari e basati su informazioni di polizia concrete e aggiornate e sull'esperienza in fatto di minacce alla pubblica sicurezza;
  • qualora emerga invece la necessità di esercitare controlli sistematici per motivi di sicurezza, gli Stati potrebbero reintrodurre il controllo al confine interno, nel rispetto del Codice Frontiere Schengen;
  • anche in base a quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza Melki & Abdeli del 22 giugno 2010, le regole alla base dei controlli eseguiti solo nelle zone di frontiera interna devono contenere limitazioni, in particolare sull'intensità e la fequenza di tali controlli. Inoltre, qualora essi non dipendano dal comportamento delle persone controllate o da specifiche circostanze di pericolo per l'ordine pubblico, occorre predisporre indicazioni per la loro concreta attuazione;
  • al fine di verificare la compatibilità dei controlli di polizia nelle zone di frontiera interna con il diritto dell'Unione, la Commissione ha bisogno di evidenza statistica. Pertanto, essa può richiedere agli Stati membri interessati di fornire informazioni sui controlli effettuati e su come essi abbiano contribuito a raggiungere gli scopi previsti dalla normativa interna che li prevede.


Un breve commento

Quanto alle linee guida contenute nel punto 2, la nostra opinione è che la Commissione abbia sentito la necessità di fissare alcuni paletti in una materia – quella dei controlli di polizia nelle zone di frontiera interne e della necessità che essi non abbiano "effetto equivalente" ai controlli di frontiera - regolata in maniera piuttosto vaga dal Codice Frontiere Schengen. In particolare, la Commissione è partita da alcuni passaggi della citata sentenza Melki & Abdeli della Corte di Giustizia UE (del 22 giugno 2010), per chiarire in base a cosa, in un eventuale futuro caso, essa valuterebbe il rispetto o meno del diritto dell'Unione in caso di controlli di polizia nelle zone di frontiera interna.
Da ciò ne consegue che la Commissione chiederà agli Stati dati precisi e informazioni, al fine di valutare l'efficacia, la proporzionalità e la compatibilità con le regole di Schengen di tali controlli. 

Quanto alle linee guida di cui al punto 1, fatichiamo a vederne una qualche utilità pratica e francamente non ne condividiamo il senso.
E' chiaro che nessuno Stato vede di buon occhio eventuali concessioni di permessi di soggiorno a gruppi numerosi di cittadini stranieri, o comunque "regolarizzazioni" di massa, per le ovvie conseguenze che tali misure potenzialmente hanno sul resto della zona priva di controlli alle frontiere interne.
Allo stesso modo, però, suggerire agli Stati di rilasciare, in caso di necessità, permessi di soggiorno che non siano validi per circolare nello spazio Schengen ci sembra una risposta che, ben lungi dal prendere in considerazione la realtà e prepararsi a gestire, a livello coordinato ed europeo, eventuali situazioni come quella dei primi mesi del 2011, finisca per lasciare al solo Stato membro interessato l'onere di farvi fronte.
Più che linee guida, dunque, su questo punto servirebbero a nostro parere regole, che disciplinino la materia dell'afflusso massiccio di cittadini di Paesi terzi, che non rientrano nel campo di applicazione della Direttiva Protezione Temporanea (peraltro molto ristretto: non a caso il meccanismo previsto da tale Direttiva non è mai stato utilizzato).



In un prossimo messaggio torneremo sulle proposte della Commissione dello scorso settembre di modifica delle regole di Schengen, per cercare di capire cosa sta succedendo allo spazio senza controlli alle frontiere interne.


Vai alla Comunicazione della Commissione "Relazione biennale sul funzionamento dello spazio Schengen"