martedì 10 maggio 2011

Direttiva Accoglienza - SCHEDA



Base giuridica: art. 78, par. 2, lett. f) TFUE

Premessa
Il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’articolo 78, paragrafo 2, lettera f), stabilisce che l'Unione nello sviluppare una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento, adotti norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria.
A questo fine l’Unione approvò nel 2003 la Direttiva 2003/9/CE recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. La Direttiva Accoglienza del 2003 stabiliva le norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, lasciando liberi questi ultimi di prevedere norme più favorevoli. Sinteticamente, la Direttiva prevedeva (non senza eccezioni) obblighi in materia d’informazione e di rilascio di documenti, di accesso al sistema educativo per i minori e di accesso al lavoro dopo, al massimo, un anno dalla domanda; le condizioni di accoglienza materiale dovevano garantire una qualità di vita adeguata per la salute ed il sostentamento dei richiedenti asilo; la specifica situazione delle persone vulnerabili doveva essere tenuta in conto dagli Stati; il trattenimento veniva consentito, ma non regolato in termini puntuali, se non precisando che “L'accoglienza di richiedenti asilo che si trovano in stato di trattenimento dovrebbe essere configurata specificamente per rispondere alle loro esigenze in tale situazione”. La Commissione europea, nel 2007, ha pubblicato una relazione sull'applicazione della Direttiva Accoglienza, segnalando diverse criticità, prassi differenti, spesso non in linea con la Direttiva stessa. In particolare: alcuni Stati non applicavano la Direttiva nei centri di trattenimento, situazione che per la Commissione era un'eccezione alla regola della libera circolazione e vi si poteva ricorrere solo quando "necessario"; molti Stati non rilasciavano i documenti nei tempi previsti; quando il supporto era fornito in denaro, questo era generalmente insufficiente per garantire la sussistenza; in alcuni Stati non era previsto un meccanismo per identificare i richiedenti asilo vulnerabili, il che faceva perdere ogni significato alle previsioni della Direttiva in materia di accoglienza di queste persone; la risposta ai bisogni delle persone vulnerabili (in particolare se trattenute) non sempre era in linea con la Direttiva; in alcuni Stati il livello delle risorse economiche e umane dedicate all'applicazione della Direttiva rimaneva discutibile.
Per migliorare l’armonizzazione degli standard d’accoglienza nei Paesi membri la Commissione, nel 2008, ha avanzato una proposta di rifusione della direttiva, naufragata per incapacità degli Stati di trovare un accordo su alcuni aspetti chiave, come il trattenimento, ed in particolare il divieto di trattenimento per i minori non accompagnati. La Commissione decise di riprovarci nel 2011 con una proposta di rifusione modificata, più in linea con le richieste degli Stati membri, che riuscì ad essere approvata nel 2013, dando così vita alla Direttiva 2013/33/UE.

Una volta ripercorsa la storia della normativa sull'accoglienza dell’UE vediamo di analizzarla, nella sua nuova rifusione, che tutti gli Stati membri devono avere già implementato (il termine era il giugno 2015). 
Trovate qui sotto l’analisi della Direttiva articolo per articolo, in cui cercheremo di illustrare, tra l'altro, le principali novità in rapporto al passato.

ANALISI DELLA DIRETTIVA

CAPO I – Scopo, definizioni e ambito di applicazione
Scopo.
Art. 1: Stabilisce che la nuova Direttiva reca “norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”. Due modifiche rispetto al passato: a) non si dispongono più norme “minime”, ma norme; inoltre, in linea con la legislazione europea in materia d’asilo, non si parla più di richiedenti asilo, ma di richiedenti protezione internazionale. Entrambe modifiche più che altro cosmetiche, dato che dalla lettura in combinato dell’art. 1 con l’art. 4 – e dunque con la possibilità per gli Stati di introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli – è ovvio che anche gli standard di cui alla direttiva 2013 siano da considerarsi degli standard minimi.

Definizioni.
Art. 2: All’articolo 2 troviamo l’interpretazione delle definizioni della Direttiva. Tra le varie definizioni sottolineiamo come la Direttiva precisi, all’art. 2 (a), che l’ambito di applicazione riguardi solo i cittadini di Paesi terzi (non della UE) o apolidi.
Da notare l’ampliamento del concetto di familiare all’articolo 2 (c) (in linea tra l’altro con la definizione all’art. 2 (j) della nuova Direttiva Qualifiche) in cui adesso viene incluso oltre a coniuge del richiedente e figli minori, anche il padre, la madre o un altro adulto responsabile per il richiedente minore e non coniugato. Non sono inclusi nella definizione di familiare i figli minori sposati. Il concetto di familiare si riferisce solo ai legami già presenti nel Paese di origine, escludendo i legami matrimoniali creatisi al di fuori, come ad esempio durante il viaggio.
All’art. 2 (k) viene inserito il concetto di richiedente con esigenze di accoglienza particolari. La lista, non esaustiva, delle persone vulnerabili che quindi necessitano “garanzie particolari” viene presentata all’art. 21.

Ambito di applicazione.
L’articolo 3 definisce l’ambito di applicazione della Direttiva accoglienza disponendo che si applichi “a tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi che manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese la frontiera, le acque territoriali o le zone di transito, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di protezione internazionale". Si noti la modifica rispetto alla versione del 2003, che parlava di “presentazione” della domanda; il riferimento alla manifestazione della volontà deve ritenersi inteso a garantire l'accesso all'accoglienza fin da quest'ultima. L’articolo deve inoltre essere letto insieme al Considerando n° 8 della direttiva e implementa quanto già la Corte di Giustizia dell’UE nel caso Cimade e Gisti del 2011 aveva affermato, e cioè che le disposizioni e gli standard di accoglienza della Direttiva devono essere applicati a tutti i richiedenti protezione internazionale, anche in strutture di detenzione, o in procedura di trasferimento ex Regolamento Dublino. La corte aveva perentoriamente affermato al Paragrafo 48 che “i richiedenti asilo sono autorizzati a rimanere non soltanto nel territorio dello Stato membro nel quale la domanda di asilo viene esaminata, ma anche in quello dello Stato membro nel quale tale domanda è stata depositata, come richiesto dall’art. 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/9”. Questa interpretazione è stata poi implementata anche nel Regolamento Dublino 3 (Vedi la nostra scheda)

Disposizioni più favorevoli.
L’art. 4, come detto sopra, riguarda la possibilità per gli Stati di introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli – è ovvio pertanto che anche gli standard di cui alla direttiva 2013 siano da considerarsi degli standard minimi.

CAPO II – Disposizioni generali sulle condizioni di accoglienza

Informazione.
Art 5: Le disposizioni sulle informazioni ai richiedenti restano pressoché immutate e riguardano l’obbligo per gli Stati membri di informare i richiedenti entro un termine ragionevole, non superiore a quindici giorni, dopo la presentazione della domanda di protezione internazionale, circa i benefici riconosciuti e gli obblighi loro spettanti in riferimento alle condizioni di accoglienza. Le informazioni sono fornite per iscritto, e se del caso anche oralmente, in una lingua che il richiedente comprende o che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile.

Documentazione.
L’articolo 6 dispone che gli Stati membri sono tenuti a rilasciare ai richiedenti asilo, entro tre giorni dalla presentazione della domanda, un documento che ne certifichi il nome e lo status. L’articolo resta tutto sommato invariato, prevedendo ancora la possibilità di escludere il rilascio del documento entro tre giorni quando il richiedente è in stato di trattenimento e durante l’esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera. La Commissione nella Relazione del 2007 aveva individuato prassi molto discordanti tra i Paesi membri, sia nella trasposizione legislativa dei termini, sia – ed era il caso dell’Italia – nell’applicazione nella prassi. Anche per questa ragione il nuovo comma 6 dell’articolo 6 prevede che gli Stati membri non esigano documenti inutili o sproporzionati né impongano altri requisiti amministrativi ai richiedenti prima di riconoscere loro i diritti conferiti dalla direttiva.

Residenza e libera circolazione.
L’articolo 7 riguarda il luogo di residenza e la libertà di circolazione dei richiedenti asilo e dispone che questi possono circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nell’area loro assegnata. L’area assegnata non pregiudica la sfera inalienabile della vita privata e permette un campo d’azione sufficiente a garantire l’accesso a tutti i benefici della Direttiva. Inoltre la Direttiva prevede che le autorità possano stabilire un luogo di residenza per il richiedente, per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido ed il controllo efficace della domanda, stabilendo così in qualche modo che vi sia una prima valutazione del profilo del richiedente. Una valutazione che – anche se non esplicitamente previsto dalla norma – non può che essere caso per caso, motivata ed obiettiva.
E deve certamente essere questa la lettura, dato che le autorità sono già obbligate dall’art. 7 (3) ad adottare una decisione caso per caso quando le autorità subordinano la concessione delle condizioni materiali d’accoglienza all’effettiva residenza del richiedente in un determinato luogo. Le stesse autorità devono sempre decidere caso per caso “in modo obiettivo ed imparziale” riguardo alla possibilità di concedere ai richiedenti un permesso temporaneo di allontanarsi dal luogo di residenza e/o dall’area assegnata, motivando la decisione qualora sia negativa.

Il trattenimento.
Nella Direttiva Accoglienza 2003 il termine trattenimento veniva adoperato 4 volte, nella nuova Direttiva 41 volte. Non è un dato meramente statistico, il tema della detenzione dei richiedenti asilo, è stato senza dubbio il tema centrale del dibattito intorno alla modifica delle regole sull’accoglienza dei richiedenti asilo. Se nella normativa 2003 l’Unione cercava di stare lontana da un tema complesso e spinoso, dieci anni più tardi la stessa UE è stata spinta ad intervenire, probabilmente a causa delle prassi molto differenti e delle sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani, che hanno sanzionato i Paesi che hanno violato i diritti umani fondamentali stabiliti nella CEDU.
La Direttiva 2003 definiva il trattenimento all’art. 2(1)(k) come “il confinamento del richiedente asilo, da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione”. Le ragioni del trattenimento venivano vagamente menzionate all’articolo 7(3), in un molto generico “Ove risultasse necessario, ad esempio per motivi legali o di ordine pubblico, gli Stati membri possono confinare il richiedente asilo in un determinato luogo nel rispetto della legislazione nazionale”. Riguardo alle condizioni del trattenimento, la normativa disponeva che la “qualità di vita sia adeguata alla situazione delle persone che si trovano in stato di trattenimento”. La detenzione veniva citata un’ultima volta per specificare che in caso di trattenimento si potesse derogare per un “periodo ragionevole e di durata più breve possibile” alle condizioni materiali minime di accoglienza previste dall’articolo 14 della Direttiva 2003. Durante le fasi di trattenimento la Direttiva prevedeva quindi la possibilità di derogare alla tutela della vita familiare così come alla possibilità di comunicare con i parenti, i consulenti giuridici nonché i rappresentanti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e delle ONG riconosciute dagli Stati. 

Tutto qui. Non veniva disposto altro in merito al trattenimento dei richiedenti asilo. Come ci si poteva aspettare in assenza di legislazione vincolante, e di indicazioni puntuali, ogni Stato membro ha fatto un po’ a modo proprio. La relazione della Commissione del 2007 chiarisce subito che “Tutti gli Stati membri prevedono il trattenimento per vari motivi, dalle circostanze eccezionali (Germania) al trattenimento di tutti i richiedenti asilo entrati illegalmente nel territorio dello Stato membro, salvo quelli aventi esigenze particolari (Malta)”, e poi aggiunge che molti Stati membri prevedono il trattenimento anche per richiedenti asilo vulnerabili e minori non accompagnati. Tutti gli Stati quindi ricorrono alla detenzione, ma in modalità molto differenti se è vero che “la durata del trattenimento varia da 7 giorni (Portogallo) a 12 mesi (Malta e Ungheria), o può addirittura essere a tempo indeterminato (Regno Unito e Finlandia)”, e che l’adeguatezza delle condizioni d’accoglienza fornite ai richiedenti asilo in detenzione resta discutibile a detta della Commissione in Ungheria, Lituania, Slovenia, Grecia, Belgio, Italia e Malta.
La Commissione, facendo intravedere la linea che porterà alle proposte di rifusione, chiarisce che il "trattenimento costituisce un'eccezione alla regola generale della libera circolazione, cui si può fare ricorso solo "ove risultasse necessario", il trattenimento automatico senza valutazione della situazione della persona interessata è contrario alla direttiva”. Le principali criticità riguardo al trattenimento riguardavano: i minori in stato di trattenimento a cui molti Stati membri negavano l'accesso all'istruzione, in contrasto con le indicazioni della direttiva; il trattenimento di minori non accompagnati; il trattenimento dei richiedenti asilo vulnerabili, che secondo la Commissione dovrebbe avvenire solo come extrema ratio.
Sulla scorta di queste osservazioni la Commissione nella proposta del 2008 prevedeva quattro articoli (dall’articolo 8-11) esclusivamente dedicati a trattenimento, garanzie per i richiedenti asilo detenuti, condizioni del trattenimento, e trattenimento di gruppi vulnerabili e persone aventi particolari esigenze, mettendo subito in chiaro che i minori non accompagnati in nessun caso possono essere detenuti. Anche per minori accompagnati e richiedenti vulnerabili si delineavano test molto stringenti per gli Stati membri che dovrebbero dimostrare nel primo caso solo nel loro interesse prevalente e dopo esame individuale, e nel caso dei richiedenti vulnerabili se, “previo esame individuale della loro situazione, un professionista qualificato certifica che il loro stato di salute, anche mentale, e il loro benessere non risentiranno in maniera significativa del trattenimento”. Nel complesso la direttiva nel suo testo proposto dalla Commissione nel 2008 compiva un significativo passo avanti in termini di diritti e tutele per i richiedenti asilo, soprattutto i più vulnerabili, riguardo al confinamento della loro libertà.
Purtroppo i Governi non trovarono un accordo al Consiglio su questo testo, ed è interessante notare come la volontà politica si arenò, tra le altre cose, proprio sul divieto assoluto di detenzione per i minori non accompagnati. Nel testo rivisto dalla Commissione nel 2011, e poi approvato con alcune modifiche da Parlamento e Consiglio, alcune delle proposte iniziali in termini di trattenimento furono riviste andando incontro alle richieste degli Stati.
La nuova Direttiva dispone le norme minime sul trattenimento negli articoli 8; 9; 10; 11.

Art. 8: Al primo comma la nuova Direttiva spiega che gli Stati non trattengono una persona sulla sola base della richiesta e stabilisce al seconda comma tre requisiti in ogni caso in cui si decida il trattenimento di un richiedente asilo: la detenzione deve essere necessaria; la detenzione deve provenire da una valutazione caso per caso della situazione individuale; deve essere una extrema ratio, da disporre solo ove misure alternative e meno coercitive non siano applicabili.
Sono sei le possibili basi giuridiche previste dalla Direttiva per disporre il trattenimento di un richiedente asilo: a) per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza; b) per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste il rischio di fuga del richiedente; c) per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio; d) quando la persona è trattenuta nell’ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva rimpatri, e vi siano fondati motivi per ritenere la domanda di protezione internazionale tesa solo a ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio; e) quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico; f) conformemente all’articolo 28 del Regolamento di Dublino, che prevede il trattenimento ai fini dei trasferimenti imposti dal Regolamento stesso.
Risulta dunque chiaro, che la nuova legislazione in tema di trattenimento di richiedenti asilo, pur lasciando ampie basi per procedere alla detenzione, richiede un test di necessità e proporzionalità della misura, insieme ad un esame individuale delle circostanze, che obbliga le autorità ad esami attenti e caso per caso prima di procedere alla privazione della libertà personale per i richiedenti asilo.
Il quarto comma, congiuntamente al secondo comma, dell’articolo 8 codificano un ulteriore obbligo per gli Stati membri: procedere alla detenzione solo dopo avere ritenuto impraticabili alternative meno coercitive del trattenimento. Il quarto comma presenta anche esempi di alternative alla detenzione  “come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato”. In questo modo la Direttiva stabilisce una sorta di obbligo “sistemico”, per cui ogni Stato membro dovrebbe creare dei meccanismi di alternative al trattenimento.

Garanzie per i richiedenti asilo trattenuti
Art. 9: Al primo comma la nuova Direttiva stabilisce che “un richiedente è trattenuto solo per un periodo il più breve possibile” e che i ritardi nelle procedure amministrative non possono prolungare il trattenimento. Inoltre, la detenzione può proseguire “solo finchè sussistono i motivi” dell’art. 8 (3). Non viene disposto altro rispetto alla durata del trattenimento, ma la disposizione dell’articolo 9 deve comunque essere letta congiuntamente al Considerando n° 16, e al dovere di debita diligenza che riconduce la durata del trattenimento alla ragione per cui questo viene disposto.
Il secondo ed il terzo comma prevedono le regole per la notifica ed il controllo giurisdizionale dei provvedimenti di trattenimento. Questi devono essere disposti per iscritto, e precisare le motivazioni di fatto e di diritto. A disporre il trattenimento può essere l’autorità giurisdizionale o quella amministrativa, ma in questo secondo caso deve essere consentita “una rapida verifica in sede giudiziaria, d’ufficio e/o su domanda del richiedente, della legittimità del trattenimento”. Proseguendo nell’analisi, al quinto comma possiamo vedere che come questi provvedimenti di trattenimento debbano essere riesaminati dall’autorità giurisdizionale a intervalli ragionevoli d’ufficio e/o su richiesta del richiedente in questione, in particolare nel caso di periodi di trattenimento prolungati”. La disposizione della nuova Direttiva lascia molto spazio agli Stati membri, non essendoci indicazioni stringenti sulla rapidità della verifica, né sulla ragionevolezza degli intervalli.

Al quarto comma, la Direttiva dispone che i richiedenti trattenuti sono informati immediatamente per iscritto, “in una lingua che essi comprendono o che ragionevolmente si suppone a loro comprensibile” dei motivi del trattenimento. In casi di privazione della libertà personale il “ragionevolmente si suppone a loro comprensibile” potrebbe risultare di dubbia compatibilità con l’art. 5(2) della CEDU che dispone che “Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico”, e su questa linea sembrerebbe anche la CorteEdu al Paragrafo 50 di Conka contro Belgio, del febbraio 2002.

Dal sesto al decimo comma dell’articolo 9 vi sono le disposizioni riguardo all’assistenza legale in fase di ricorso contro i provvedimenti di trattenimento.
Al sesto comma la nuova Direttiva impone che “gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti abbiano accesso gratuito all’assistenza e alla rappresentanza legali”, e a fornire l’assistenza o rappresentanza legale devono essere “persone adeguatamente qualificate, autorizzate o riconosciute ai sensi del diritto nazionale”, il cui compito minimo sarà di preparare i “documenti procedurali necessari” e partecipare “all’udienza dinanzi alle autorità giurisdizionali a nome del richiedente”.
Il comma sette prevede che gli Stati possano applicare due sole condizioni alla concessione dell’assistenza e rappresentanza legale e cioè che venga fornita (1) soltanto a chi non disponga delle risorse necessarie; e/o (2) soltanto mediante i servizi forniti da avvocati o altri consulenti legali che sono specificamente designati dal diritto nazionale ad assistere e rappresentare i richiedenti. Nel prevedere solo questi due specifici casi la Direttiva pone a contrario un vincolo, e cioè che l’assistenza e rappresentanza legale non possa essere rifiutata in nessun altro caso, come invece vedremo avviene per quanto riguarda l’impugnazione dei provvedimenti relativi ai benefici derivanti dalla Direttiva. 
Ancora sulle spese relative all’assistenza legale l’ottavo comma dispone che (1) si possano disporre limiti monetari alla prestazione dell’assistenza e rappresentanza legale, ma che questi limiti non possano restringere arbitrariamente il diritto; e (2) che il trattamento, relativo ad onorari e spese, non sia più favorevole di quello offerto ai propri cittadini con riguardo all’assistenza legale. Il dettato di quest’ultima disposizione risulta abbastanza oscuro, di difficile applicazione, oltre che in principio certamente discriminatorio: se il trattamento non deve essere più favorevole è allora concesso che sia meno favorevole creando, potenzialmente, una situazione in cui la libertà personale di richiedenti asilo e cittadini europei sia trattata in maniera differenziata per motivi ignoti.
Anche il nono comma si sofferma sui costi dell’assistenza legale gratuita prevedendo che gli Stati possono esigere un rimborso integrale o parziale delle spese per l’assistenza legale gratuita se (1) “vi sia stato un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente”; o (2) “la decisione di accordare tali prestazioni è stata adottata in base a informazioni false fornite dal richiedente”. Non viene definito altro, né cosa si intenda per “considerevole”, né cosa si intenda per “informazioni false” (un semplice rigetto della domanda di protezione internazionale non può essere considerato come “informazioni false”). Da ultimo il decimo comma si limita a ribadire che “le modalità di accesso all’assistenza e alla rappresentanza legali sono stabilite dal diritto nazionale”.

Condizioni di trattenimento
Art. 10: Sul luogo di detenzione l’articolo 10 prevede che i richiedenti asilo “di regola” vengano trattenuti in appositi centri di detenzione ma che lo Stato possa ricorrere alle ordinarie prigioni se “sia obbligato a sistemarlo in un istituto penitenziario” e in quest’ultimo caso che “siano applicate le condizioni di trattenimento previste dalla presente direttiva” e che “per quanto possibile” i richiedenti siano tenuti separati dai cittadini di paesi terzi non richiedenti asilo, e che se, anche in questo caso, lo Stato non possa tenere separati richiedenti asilo da non richiedenti asilo, che “siano applicate le condizioni di trattenimento previste dalla presente direttiva”. Immaginiamo che gli Stati siano obbligati a ricorrere a istituti penitenziari o non possano tenere separati richiedenti da non richiedenti, per semplici carenze di strutture. Bisogna tenere a mente che i richiedenti possono essere trattenuti solo per una delle ragioni elencate dall’articolo 8 (3), e non sono detenuti per avere commesso un crimine. Resta dubbia la compatibilità di questa disposizione con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, che, nella sentenza Pham ha ritenuto, seppur nel contesto della Direttiva rimpatri, che sussiste “un obbligo incondizionato di separazione dei cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare dai detenuti comuni, nel caso in cui uno Stato membro non possa sistemare tali cittadini in appositi centri di permanenza temporanea”. Dall’interpretazione della Corte di Lussemburgo se ne deduce che la carenza di centri di detenzione non sia sufficiente perché gli Stati ricorrano alla detenzione dei richiedenti asilo presso istituti penitenziari.
Sempre sulle condizioni di trattenimento il secondo comma dispone che i richiedenti abbiano accesso a spazi all’aria aperta, mentre il terzo e il quarto comma si occupano della possibilità di comunicazione dei richiedenti con rappresentanti di UNHCR e con familiari, avvocati, consulenti legali e rappresentanti di ONG, sempre in condizioni che rispettino il diritto alla riservatezza.
Si noti a questo punto l’assenza di disposizioni stringenti, o anche solo indicative, con riguardo agli standard minimi legati alle condizioni di vita nei centri di detenzione, si pensi ad esempio alle condizioni igienico sanitarie, agli spazi sufficienti, all’accesso a cure mediche, e alla possibilità di esercitare la propria fede religiosa. Su tutti questi temi sia la Corte di Strasburgo, sia la Commissione per prevenire la Tortura del Consiglio d’Europa (CPT), si sono espresse più volte ed introducendo standard piuttosto puntuali. La nuova Direttiva si limita solo alle disposizioni del terzo comma sull’accesso a spazi all’aria aperta.
L’ultimo comma, il quinto, dell’articolo 10, introduce l’obbligo di informare i richiedenti trattenuti con riguardo a “norme vigenti nel centro di trattenimento e ai loro diritti e obblighi". Allo stesso tempo lo stesso comma prevede una possibile deroga a tale obbligo “in casi debitamente giustificati e per un periodo ragionevole di durata più breve possibile”. La scelta linguistica del legislatore europeo appare piuttosto vaga e generica, ed apre teoricamente le porte a molte eccezioni ad un obbligo e ad un principio fondamentale come quello di informare i richiedenti, privati della propria libertà personale, rispetto a diritti fondamentali come la possibilità di ricorrere contro il provvedimento di trattenimento, e di accedere all’assistenza legale gratuita.

Trattenimento di persone vulnerabili e di richiedenti con esigenze di accoglienza particolari.
Art. 11: questa disposizione è dedicata al trattenimento di persone vulnerabili, definite dalla nuova Direttiva all’articolo 21, ed in particolare di richiedenti con problemi di salute, di richiedenti minori, e minori non accompagnati, di famiglie e donne. Come anticipato, le disposizioni riguardo ai limiti al trattenimento per le categorie vulnerabili sono uscite dai negoziati europei molto annacquate. Il nuovo primo comma, dell’articolo 11 obbliga gli Stati membri ad avere la salute, anche mentale, dei richiedenti come preoccupazione principale, a svolgere controlli periodici e a fornire sostegno adeguato, senza tra l’altro chiarire in cosa si sostanzi questo sostegno adeguato.
Per quanto riguarda la detenzione dei minori, la nuova Direttiva, pur non vietandola, dispone una serie di condizioni rigorose. Al secondo comma si prevede che i minori vengano trattenuti solo (1) in ultima istanza, (2) dopo aver accertato che misure alternative meno coercitive non possano essere applicate (3) per un periodo della durata più breve possibile e (4) facendo il possibile perché siano rilasciati e ospitati in alloggi idonei per i minori. Tutto questo sempre tenendo in considerazione l’interesse superiore del minore.
Le condizioni poste dal terzo comma per il trattenimento dei minori non accompagnati sono ancora più stringenti. Questi sono infatti trattenuti (1) solo in circostanze eccezionali, (2) facendo il possibile affinché siano rilasciati il più rapidamente possibile. Inoltre i minori non accompagnati non sono mai trattenuti in istituti penitenziari e viene garantita una sistemazione separata dagli adulti ed in istituti possibilmente dotati di personale e strutture consoni a soddisfare le esigenze di persone della loro età. Queste disposizioni lasciano davvero un margine ridotto agli Stati per trattenere i minori non accompagnati, ed anche se non viene definito quanto le circostanze siano eccezionali deve essere preso comunque in considerazione l’interesse primario del minore. Anche nei casi di età incerte, gli Stati dovranno rispettare non solo l’approccio da circostanze eccezionali ma anche la disposizione dell’articolo 25 (5) della nuova Direttiva Procedure per cui se in seguito a visite mediche ed accertamenti gli Stati continuino a nutrire dubbi circa l’età del richiedente, considerano il richiedente un minore.
Al quarto comma si aggiunge che alle famiglie trattenute sia fornita una sistemazione separata che ne tuteli l’intimità, mentre al quinto comma con riguardo alle richiedenti trattenute, gli Stati devono garantire una sistemazione separata dai richiedenti uomini.

Nuclei familiari ed Esami medici
Art. 12: Dispone che, con il consenso dei richiedenti, vengano adottate misure idonee a mantenere nella misura del possibile l’unità del nucleo familiare presente nel loro territorio. L’art. 13, invece prevede la possibilità che i richiedenti siano sottoposti a esame medico per ragioni di sanità pubblica.

Scolarizzazione e istruzione dei minori
Art. 14: Le disposizioni concernenti la scolarizzazione dei minori sono largamente simili alla precedente Direttiva del 2003, e prevedono che gli Stati membri consentano ai figli minori di richiedenti e ai richiedenti minori di accedere al sistema educativo a condizioni simili a quelle dei propri cittadini. Se da una parte il primo comma prevede che “Tale istruzione può essere impartita nei centri di accoglienza”, la disposizione appare di difficile applicazione all’interno di centri di detenzione. Il secondo comma aggiunge che l’accesso al sistema educativo non è differito di oltre tre mesi dalla data di presentazione della domanda e che sono impartiti corsi di preparazione, anche di lingua, ai minori, se necessari per agevolarne l’accesso e la partecipazione al sistema educativo come stabilito al paragrafo.

Lavoro e formazione professionale
L’Art. 15 si occupa del diritto dei richiedenti asilo di accedere al mercato del lavoro, disponendo che gli Stati membri lo garantiscano entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale a meno che le autorità non abbiano già adottato una decisione in primo grado o che il ritardo possa essere attribuito al richiedente. Nella precedente Direttiva questo stesso termine era posto a dodici mesi, mentre nella prima proposta di modifica della Commissione era di sei mesi. Gli Stati membri mantengono la possibilità di dare la precedenza ai cittadini dell’UE ed agli stranieri con permesso soggiorno regolare. L’accesso al mercato del lavoro non è revocato durante i procedimenti di ricorso, a meno che la decisione dell’autorità non abbia effetto sospensivo (vedi ad esempio le domande manifestamente infondate). Da notare l’incidenza di questa disposizione con le regole relative al trattenimento, evidentemente incompatibili con l’obbligo di dare accesso al mercato del lavoro entro nove mesi.
Indipendentemente dall’accesso al mercato del lavoro gli Stati possono autorizzare l’accesso dei richiedenti alla formazione professionale, tranne nel caso in cui questa è collegata ad un contratto di lavoro subordinato, perché in quel caso valgono le regole dell’articolo 15.

Disposizioni generali relative alle condizioni materiali di accoglienza e all’assistenza sanitaria
L’art. 17 ed i seguenti si occupano di condizioni materiali di accoglienza. L’art. 17 prevede che i richiedenti abbiano accesso alle condizioni materiali d’accoglienza nel momento in cui manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale e che le condizioni materiali di accoglienza assicurino un’adeguata qualità di vita, anche con specifico riguardo a persone vulnerabili o in stato di trattenimento.
La concessione delle condizioni materiali d’accoglienza e dell’assistenza sanitaria può essere subordinata alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento. Coloro i quali dispongono di sufficienti risorse possono essere obbligati a sostenere o a contribuire a sostenere i costi delle condizioni materiali di accoglienza, e se emerge in un secondo momento che i richiedenti disponevano delle dette risorse, essi possono anche vedersi chiedere un rimborso per i costi sostenuti dallo Stato. Se le condizioni materiali di accoglienza sono fornite in forma di sussidi economici o buoni, l’ammontare dei medesimi è fissato sulla base del livello o dei livelli stabiliti dallo Stato membro interessato, secondo la legge o la prassi, in modo da garantire una qualità di vita adeguata ai propri cittadini. Se le condizioni sono parzialmente fornite in natura gli Stati possono accordare un trattamento meno favorevole.
Le disposizioni di questo articolo devono essere lette in conformità con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, e della sentenza Saciri (qui trovate la nostra analisi), che chiaramente dispone che “qualora uno Stato membro abbia scelto di fornire le condizioni materiali di accoglienza in forma di sussidi economici, tali sussidi devono essere sufficienti a garantire un livello di vita dignitoso e adeguato per la salute nonché il sostentamento dei richiedenti asilo, consentendo loro, in particolare, di disporre di un alloggio, se del caso, nell’ambito del mercato privato della locazione”.
Rispetto alle modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza, di cui si occupa l’art. 18, la Direttiva prevede che nel caso in cui l’alloggio, nei casi in cui non è sostituito da un sussidio economico per lo stesso, possa essere di tre tipi: 1) centri di accoglienza; 2) in case private, appartamenti, alberghi o altre strutture; 3) oppure “un locale utilizzato per alloggiare i richiedenti”, questo solo per quanto riguarda le procedure per le domande presentate alla frontiera o in zone di transito;
A chi si trova in accoglienza, non in situazione di trattenimento, i Paesi membri garantiscono: la tutela della vita familiare; la possibilità di comunicare con i parenti, gli avvocati o i consulenti legali, i rappresentanti dell’UNHCR e altri organismi e organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi competenti, e che a questi sia consentito l’accesso, limitato solo per la sicurezza dei locali e dei richiedenti.
Rispetto alle sistemazioni dei richiedenti nei centri d’accoglienza la Direttiva prevede che si tenga conto delle differenze di genere, età e vulnerabilità all’interno dei locali e dei centri di accoglienza, e che i vulnerabili, anche se adulti, siano collocati ove possibile con i loro parenti stretti responsabili in base alla legge. Gli Stati membri dovranno anche adottare misure opportune per prevenire la violenza e la violenza di genere in particolare, compresa la violenza sessuale e le molestie, all’interno dei locali e dei centri di accoglienza, e provvedere a che i trasferimenti di richiedenti da una struttura alloggiativa a un’altra avvengano solo ove necessari.
Per quanto riguarda la gestione dei centri di accoglienza la Direttiva prevede che gli operatori dei centri ricevano una formazione adeguata e siano soggetti alle norme in materia di riservatezza previste dal diritto nazionale. Gli Stati possono coinvolgere i richiedenti nella gestione delle risorse materiali e degli aspetti non materiali della vita nei centri.
La Direttiva prevede che si possa derogare alle regole appena esposte, per un periodo ragionevole e di durata più breve possibile, in fase di valutazione delle esigenze specifiche del richiedente (vedi più avanti all’articolo 22), oppure se la capacità di alloggio normalmente disponibile sia temporaneamente esaurita. Anche se gli Stati, in queste due, e solo in queste due, circostanze possono derogare alle regole, le condizioni di accoglienza offerte devono soddisfare le “esigenze essenziali”. Il concetto di esigenze essenziali può essere meglio compreso in base alla sentenza Abdida della Corte di Lussemburgo (Si vedano i parr 59-62 e la nostra analisi), e trova come limite giuridico l’articolo 1 della Carta dell’UE sui Diritti Fondamentali, al diritto alla dignità.
L’art. 19 si occupa di assistenza sanitaria, precisando che i richiedenti devono ricevere la necessaria assistenza sanitaria che comprende quantomeno le prestazioni di pronto soccorso e il trattamento essenziale delle malattie e di gravi disturbi mentali e che la necessaria assistenza medica sia anche fornita ai richiedenti con esigenze di accoglienza particolari.

CAPO III Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza
L’art. 20 si occupa di riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza, elencando tassativamente i casi in cui questo possa avvenire, ovvero se il richiedente 1) lasci il luogo di residenza determinato dall’autorità senza informare tali autorità, oppure, ove richiesto, senza permesso; o 2) contravvenga all’obbligo di presentarsi alle autorità o alla richiesta di fornire informazioni o di comparire per un colloquio personale concernente la procedura d’asilo durante un periodo di tempo ragionevole. In questi primi due casi se il richiedente viene rintracciato o si presenta volontariamente all’autorità competente possono essere ripristinate le condizioni materiali di accoglienza; o 3) abbia presentato una domanda reiterata.
I Paesi membri possono ridurre le condizioni materiali di accoglienza quando possono accertare che il richiedente, senza un giustificato motivo, non abbia presentato la domanda di protezione internazionale non appena ciò era ragionevolmente fattibile, e possono ridurre o revocare le condizioni materiali di accoglienza qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando indebitamente delle condizioni materiali di accoglienza. Gli Stati possono anche prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza ed a comportamenti gravemente violenti.
Le condizioni materiali d’accoglienza sono ridotte o revocate solo dopo la decisione da parte dell’autorità, e tutte le decisioni, riguardo a riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza come anche le sanzioni, vengono adottate in modo individuale, obiettivo e imparziale e devono essere motivate. Le decisioni sono basate sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto concerne le persone vulnerabili, ed in ogni caso viene fatto salvo l’accesso all’assistenza sanitaria. L’art. 20 dispone anche che “gli Stati membri in qualsiasi circostanza garantiscono un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti”, richiamando il già citato articolo 1 della Carta UE dei Diritti Fondamentali, ed obbligando in ogni caso gli Stati a garantire la sussistenza minima di tutti i richiedenti, anche quelli non in accoglienza.

CAPO IV Disposizioni a favore delle persone vulnerabili

In questo capo si trovano le nuove regole con riguardo all’individuazione delle categorie vulnerabili e ai trattamenti specifici in termini di accoglienza per le stesse.
All’articolo 21 viene dapprima elencato, in modo non esaustivo chi sono le persone vulnerabili, citando “i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili”. Da notare che rispetto alla precedente Direttiva sono state inserite tra le categorie vulnerabili le vittime di tratta, ed è stato chiarito, a titolo esemplificativo, che le vittime di mutilazioni genitali femminili sono vittime di gravi violenze.

Valutazione delle particolari esigenze di accoglienza delle persone vulnerabili
L’art. 22 si occupa della valutazione delle particolari esigenze di accoglienza delle persone vulnerabili. La Direttiva dispone che tale valutazione, che non deve assumere la forma di una procedura amministrativa, non pregiudica la valutazione della domanda di protezione internazionale. Non viene detto altro rispetto alla metodologia e alla procedura, che dovrà dunque essere predisposta da ogni singolo Paese membro.
La valutazione è avviata entro un termine ragionevole dopo la presentazione della domanda di protezione internazionale ma gli Stati provvedono affinché le vulnerabilità siano affrontate anche se si manifestano in una fase successiva della procedura di asilo. Gli Stati devono tenere conto delle esigenze di accoglienza particolari delle persone vulnerabili durante l’intera procedura di asilo e provvedere a un appropriato controllo della loro situazione. Dato che l’identificazione delle esigenze particolari diventa fondamentale per il tipo di accoglienza offerta diventerà certamente dirimente il “termine ragionevole”, e la valutazione dovrà essere fatta in tempi rapidi.

Minori e minori non accompagnati
Le disposizioni su minori (art. 23) e minori non accompagnati (art. 24) sono ampiamente modificate rispetto alla precedente Direttiva. Per i minori si ribadisce che l’interesse superiore del minore costituisce criterio fondamentale nell’attuazione delle regole concernenti i minori e gli Stati assicurano un livello di vita adeguato allo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale del minore. La valutazione dell’interesse superiore del minore viene fatta tenendo in considerazione: a) la possibilità di ricongiungimento familiare; b) il benessere e lo sviluppo sociale del minore; c) l’incolumità e la sicurezza, in particolare se sussiste il rischio che il minore sia vittima della tratta di esseri umani; d) l’opinione del minore, secondo la sua età e maturità.
Le misure sono stringenti con riguardo all’assistenza in accoglienza. Gli Stati infatti dovranno provvedere affinché i minori possano svolgere attività di tempo libero all’interno dei centri di accoglienza e che gli venga garantito l’accesso ai servizi di riabilitazione per i minori che abbiano subito qualsiasi forma di abuso, negligenza, sfruttamento, tortura, trattamento crudele, disumano o degradante o che abbiano sofferto gli effetti di un conflitto armato e assicurano che siano predisposte, ove necessario, appropriate misure di assistenza psichica e una consulenza qualificata. Purché sia nell’interesse superiore dei minori, gli Stati dovranno inoltre fornire accoglienza ai minori insieme ai genitori o fratelli richiedenti.
L’art. 24, che si occupa dei minori non accompagnati, amplia considerevolmente il sistema di tutele offerto a questa categoria vulnerabile. In particolare le garanzie relative al ruolo del tutore sono adesso estese non solo alla rappresentanza ma anche all’assistenza. La nuova Direttiva prevede esplicitamente che il rappresentante svolga i suoi doveri in conformità del principio dell’interesse superiore del minore e viene aggiunto che il rappresentante deve possedere le competenze necessarie a tale scopo, e riceva adeguata e specifica formazione, oltre ad un’ulteriore garanzia riguardante l’inammissibilità di rappresentanti potenzialmente in situazione di conflitto di interessi. Riguardo alle modalità di accoglienza la nuova Direttiva, come la precedente, dispone che i minori non accompagnati siano alloggiati presso familiari adulti, una famiglia affidataria, in centri di accoglienza che dispongano di specifiche strutture per i minori, o in altri alloggi idonei per i minori, o anche in centri di accoglienza per adulti richiedenti, se hanno più di 16 anni ed è nel loro interesse superiore. Da notare che la Direttiva prevede due ruoli differenti: il tutore ed il rappresentante. Potenzialmente questa divisione potrebbe creare un aumento di costi e difficoltà a reperire le necessarie competenze. Sotto questo punto di vista è importante sottolineare che l’art. 25 della Direttiva Procedure prevede la possibilità che le due figure siano in realtà coperte da una sola persona.
Rispetto al ricongiungimento dei minori stranieri non accompagnati con i familiari la Direttiva dispone che questo sia un compito degli Stati, se necessario supportati da organizzazioni internazionali o altre organizzazioni competenti, fin dalla manifestazione della volontà di chiedere la protezione internazionale. La Direttiva ribadisce poi l’importanza della confidenzialità rispetto alle informazioni raccolte e trattate con riguardo al ricongiungimento, specialmente se riguarda parenti rimasti nei Paesi d’origine. Da vedere come queste disposizioni si applicheranno in tema di ricongiungimento ex Regolamento di Dublino, dato che l’art 6 (4) ne prevede un chiaro obbligo per i Paesi membri in quelle situazioni.

Vittime di tortura e di violenza
L’art. 25 si occupa delle vittime di tortura e violenza chiarendo che rientrano tra le categorie vulnerabili che ricevono il necessario trattamento ed assistenza o cure mediche e psicologiche appropriate. L’obbligo di formazione specifica per gli operatori riguarda anche coloro che si occupano di vittime di torture, stupri o altri gravi atti di violenza.

CAPO V Mezzi di ricorso

Il Capo V è composto di un solo articolo in cui si delineano le regole minime con riguardo ai mezzi di ricorso, ed alla rappresentanza legale durante i ricorsi. L’art. 26 prevede che si possano impugnare le decisioni relative alla concessione, alla revoca o alla riduzione di benefici riguardanti l’accoglienza o le decisioni che riguardano la libertà di movimento dei richiedenti. Almeno in ultimo grado è garantita la possibilità di ricorso o riesame, in fatto e in diritto, dinanzi a un’autorità giurisdizionale.
L’assistenza e la rappresentanza legale gratuita sono garantite in fase di ricorso o riesame, nella misura necessaria, che include come minimo la preparazione dei documenti procedurali necessari e la partecipazione all’udienza dinanzi alle autorità giurisdizionali a nome del richiedente, da persone adeguatamente qualificate, autorizzate e scevre da conflitti di interesse. Vi sono delle limitazioni all’assistenza e la rappresentanza legali gratuite, elencate nella Direttiva. Questa può essere fornita solo a chi non disponga delle risorse necessarie, solo mediante i servizi forniti da avvocati specificamente designati, e solo se l’autorità competente ritiene che il ricorso o la revisione abbia prospettive concrete di successo. Quest’ultimo caso, anche se la Direttiva precisa che non deve essere ostacolato l’accesso effettivo del richiedente alla giustizia, crea dei limiti potenzialmente restrittivi e problematici. In particolare, potrebbero verificarsi delle restrizioni del diritto all’assistenza legale per situazioni complesse, in punto di fatto o di diritto, che per la loro complessità, e per la particolare posizione di debolezza dei richiedenti, vedano scarse possibilità di successo. Anche nel caso dei ricorsi, come già detto in altre occasioni, gli Stati membri possono imporre limiti monetari e/o temporali alla prestazione di assistenza e rappresentanza legali gratuite e prevedere che il trattamento concesso ai richiedenti non sia più favorevole di quello di norma concesso ai propri cittadini termini di onorari. Come nel caso del trattenimento, e dell’assistenza sanitaria gli Stati possono esigere un rimborso integrale o parziale delle spese sostenute in caso di miglioramento della situazione finanziaria del richiedente, o di decisione presa sulla base di informazioni false.

CAPO VI Azioni volte a migliorare l'efficienza del sistema di accoglienza

Nel sesto Capo viene chiarito all’art. 27 che gli Stati notificano alla Commissione le autorità responsabili dell’esecuzione degli obblighi risultanti dalla presente direttiva.
L’art. 28 prevede invece che gli Stati riferiscano alla Commissione entro il 20 Luglio 2016 con riguardo a (1) valutazione delle esigenze particolari (2) documentazione (3) condizioni per l’accesso al mercato del lavoro (4) le condizioni materiali di accoglienza e l’importo del sussidio (5) i criteri di riferimento applicati per diritto o prassi nazionali per determinare il livello di assistenza finanziaria accordata ai richiedenti. Da notare che la Direttiva non prevede un obbligo di riferire con riguardo ai costi e alle modalità della detenzione, che resta il tema più delicato affrontato dalla Direttiva.
L’art. 29 ribadisce che è compito degli Stati sia stanziare le risorse per attuare la direttiva sia adottare le misure adeguate per garantire che le autorità e le organizzazioni che si occupano di accoglienza abbiano ricevano la necessaria formazione di base riguardo alle esigenze dei richiedenti di entrambi i sessi.

CAPO VII Disposizioni finali

Nell’ultimo Capo la Direttiva prevede all’art. 30 che la Commissione presenti entro il 20 luglio 2017 una relazione sull’applicazione della presente direttiva, proponendo all’occorrenza le necessarie modifiche, e dopo questa relazione la Commissione riferirà al Parlamento europeo e al Consiglio almeno ogni cinque anni sull’applicazione della direttiva.
L’art. 31 individua il 20 luglio 2015 come termine per il recepimento della Direttiva, ad eccezione della disposizione dell’art. 13 per gli esami medici, e dell’art. 29 sullo stanziamento di risorse.
L’art. 32 dichiara la direttiva 2003/9/CE abrogata per gli Stati membri vincolati con effetto dal 21 luglio 2015.