lunedì 30 maggio 2011

Ufficio europeo di sostegno per l'asilo - SCHEDA





Base giuridica: art. 74 e art. 78 § 1 e 2 TFUE

L'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo è un'Agenzia dell'UE, dotata di personalità giuridica, con sede a La Valletta, Malta. L'avvio ufficiale dei suoi lavori è molto recente: giugno 2011. L'Ufficio deve la sua nascita all'evidenza che, per avere un'armonizzazione concreta, nei fatti, l'emanazione di atti giuridici non è sufficiente e le diversità fra i sistemi di asilo nazionali rimangono ancora troppo grandi
Ciò crea problemi non solo per le persone, come è evidente, ma anche per gli stessi Stati che si trovano o nell'impossibilità, se lasciati soli, di tener fede agli impegni presi in sede europea, o a dover far fronte alle difficoltà di altri Paesi. La disparità di condizioni negli Stati membri è stata recentemente e drammaticamente rilevata dalla Corte europea dei Diritti Umani nella sentenza M.S.S. c. Belgio e Grecia che ha sostanzialmente bloccato i rinvii verso la Grecia dei richiedenti asilo ai sensi del Regolamento Dublino II a causa delle condizioni in quel Paese. 
E' evidente come questo, forse più di altre considerazioni più "nobili", potrebbe spingere gli Stati membri a dover prendere molto sul serio il tema dell'armonizzazione nei fatti perché, altrimenti, tutto l'impianto di Dublino, a loro tanto caro, rischia di essere messo in discussione.

Il Regolamento 439/2010 affida all'Ufficio tre compiti fondamentali: 
1) contribuire a una migliore attuazione del sistema europeo comune di asilo;
2) rafforzare la cooperazione pratica in materia di asilo fra gli Stati membri;
3) fornire o coordinare il sostegno operativo agli Stati membri i cui sistemi di asilo e accoglienza sono sottoposti a una pressione particolare.

Nel Regolamento (art. 2 § 6) è chiaramente detto che l’Ufficio di sostegno non ha alcun potere in relazione al processo decisionale per quanto riguarda le singole domande di protezione internazionale.
E' evidente tuttavia che le aspettative nei confronti di questo Ufficio sono molte. Se non altro sarà interessante vedere come si comporterà nei confronti degli Stati membri e quale equilibrio troverà per garantirsi una certa indipendenza. Tenuto conto che il Consiglio di amministrazione si compone di un membro nominato da ciascuno Stato membro e di due membri nominati dalla Commissione. 

Ad ogni modo, nel Regolamento si trovano previsioni che potrebbero permettere all'Ufficio di svolgere un ruolo importante e concreto, come ad esempio la possibilità di raccogliere ed esaminare sistematicamente informazioni sulle strutture e il personale disponibili, di coordinare (su richiesta degli Stati interessati) le azioni di sostegno agli Stati membri i cui sistemi di asilo e accoglienza sono sottoposti a una particolare pressione, di adottare orientamenti e manuali operativi (per quanto questi non possano servire a dare istruzioni agli Stati  sull'accoglimento o sulla reiezione delle domande di protezione internazionale).


Vai al testo del Regolamento che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo

martedì 24 maggio 2011

Direttiva Qualifiche - SCHEDA



Base giuridica: art. 78 § 2, lett. a) e b) TFUE


La Direttiva Qualifiche stabilisce norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.

Oltre a ribadire i principi che ispiravano la Direttiva 2004/83/CE, la nuova Direttiva Qualifiche cerca di realizzare un maggiore ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e agli elementi essenziali della protezione internazionale.
In proposito, va ricordato come la "vecchia" Direttiva Qualifiche fosse considerata generalmente come lo strumento meno problematico fra quelli approvati durante la c.d. "prima fase" del Sistema europeo comune di asilo. Pertanto, i passi in avanti fatti dalla Direttiva 2011/95/UE non sono molti e sono dovuti principalmente alla giurisprudenza, tanto della Corte europea dei diritti dell'uomo, quanto della Corte di Giustizia dell'Unione europea.
Eppure, soprattutto in alcuni casi, non si tratta di modifiche di secondaria importanza.

Vediamo dunque la nuova Direttiva Qualifiche più nel dettaglio.



Per capi, la Direttiva Qualifiche contiene:

- disposizioni generali (Capo I): obiettivo, definizioni, disposizioni più favorevoli;
-disposizioni sulla valutazione delle domande di protezione internazionale (Capo II): esame sui fatti e sulle circostanze, bisogno di protezione sorto sur place, responsabili della persecuzione o del danno grave, soggetti che offrono protezione, protezione all'interno del Paese di origine;
- disposizioni riguardanti lo status di rifugiato (Capi III e IV): requisiti per essere considerato rifugiato (atti e motivi di persecuzione, cessazione, esclusione); status di rifugiato (riconoscimento, revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo);
- disposizioni riguardanti la protezione sussidiaria (Capi V e VI): requisiti per la protezione sussidiaria (concetto di "danno grave", cessazione, esclusione); status di protezione sussidiaria (riconoscimento, revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo);
- contenuto della protezione internazionale (Capo VII): protezione dal respingimento, informazioni, mantenimento dell'unità familiare, permesso di soggiorno, documenti di viaggio, accesso all'occupazione, all'istruzione, alle procedure di riconoscimento delle qualifiche, assistenza sociale, assistenza sanitaria, disposizioni riguardanti i minori non accompagnati, accesso all'alloggio, libera circolazione, accesso agli strumenti di integrazione, rimpatrio. 


Queste a nostro avviso le principali novità apportate dalla nuova Direttiva Qualifiche rispetto alla precedente:


Disposizioni generali:

  • non si parla più di norme minime, in linea con le nuove basi giuridiche previste nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (in particolare, dall'art. 78 TFUE) ma semplicemente di "norme" (art. 1). Ciò non toglie che agli Stati è lasciata sempre facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli (art. 3);
  • la definizione di "familiari" è allargata al padre, la madre o altro adulto responsabile del beneficiario di protezione internazionale minore non coniugato (art.2, lett. j, terzo trattino). Si noti che la Commissione aveva  proposto di allargare ulteriormente la nozione ad altri membri;


In materia di valutazione delle domande:


  • quanto ai soggetti che offrono protezione (art. 7), si chiarisce che la lista è esaustivanel caso in cui non si tratti dello Stato, ma di partiti o organizzazioni (comprese le organizzazioni internazionali) che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, si inserisce la condizione che abbiano la volontà e la capacità di offrire protezione;
  • si prevede che la protezione contro persecuzioni o danni gravi debba   essere "effettiva" e "non temporanea";
  • quanto alla protezione interna al Paese di origine (art. 8) viene chiarito che la possibilità per gli Stati di escludere dalla protezione chi, in una parte del territorio di origine, ha accesso alla protezione, è soggetta al fatto che la persona in questione possa legalmente e senza pericolo recarsi su quella parte di territorio e si possa ragionevolmente supporre che vi si stabilisca; viene aggiunto l'obbligo per gli Stati di disporre di informazioni precise e aggiornate, provenienti da fonti pertinenti (in particolare UNHCR e Ufficio europeo di sostegno per l'asilo) sulla situazione in quella parte del Paese di origine (art. 8 § 2); è eliminato il paragrafo 3, che prevedeva la possibilità per gli Stati di applicare il concetto di protezione interna "nonostante ostacoli tecnici al ritorno nel Paese di origine";
  • viene chiarito che, per aversi un riconoscimento dello status di rifugiato, i motivi di persecuzione possono essere collegati tanto agli atti di persecuzione quanto alla mancanza di protezione contro tali atti (art. 9 § 3);
  • ai fini della determinazione dell'appartenenza a un determinato gruppo sociale o dell'individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si  tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa l'identità di genere (art. 10 § 1 lett. d). Si tratta senza dubbio di una delle più importanti modifiche apportate dalla nuova Direttiva Qualifiche;
  • viene introdotta un'eccezione alla cessazione dello status di rifugiato (art. 11 § 3) e di protezione sussidiaria (art. 16 § 3) dovuta al venir meno delle circostanze che ne hanno determinato il riconoscimento, qualora la persona in questione possa invocare motivi derivanti da precedenti persecuzioni o danni gravi. Per quanto riguarda lo status di rifugiato, ciò è in linea con la Convenzione di Ginevra del 1951, art. 1 lett. C (5).


In materia di contenuto della protezione:

In generale, va detto che la nuova Direttiva avvicina il contenuto dello status di protezione sussidiaria a quello dello status di rifugiato, eliminando buona parte delle possibilità che gli Stati avevano di limitare l'accesso ad alcuni diritti ai soli rifugiati. 
Va tuttavia precisato anche che pochi Stati membri avevano effettivamente fatto uso di queste possibilità.

  • il permesso di soggiorno rilasciato ai beneficiari di protezione sussidiaria (e ai loro familiari) deve essere valido, in caso di rinnovo, per almeno due anni (art. 24). Si noti che la Commissione aveva proposto di portare anche la durata minima di questo permesso a tre anni, come per lo status di rifugiato;
  • circa il documento di viaggio per i titolari di protezione sussidiaria, viene eliminata la limitazione alle gravi ragioni umanitarie che rendano necessaria la loro presenza in un altro Stato, mentre rimane il requisito di trovarsi nell'impossibilità di ottenere un passaporto nazionale (art. 25 § 2);
  • in materia di accesso all'occupazione, all'assistenza sanitaria e agli strumenti di integrazione, lo status di protezione sussidiaria viene messo sullo stesso livello di quello di rifugiato (art. 26, 30 e 34);
  • quanto al riconoscimento delle qualifiche, che merita ora un articolo a parte (art. 28), oltre a garantire parità di trattamento con i cittadini, gli Stati devono anche adoperarsi per agevolare il pieno accesso a sistemi di valutazione, convalida e accreditamento dell'apprendimento precedente;
  • in materia di assistenza sanitaria, si aggiunge l'obbligo per gli Stati di fornire il necessario trattamento dei disturbi psichici (art. 30);
  • in materia di accesso all'alloggio, si prevede l'obbligo per gli Stati di adoperarsi per attuare politiche dirette a prevenire le discriminazioni nei confronti dei beneficiari di protezione internazionale e garantire pari opportunità.


Fra gli aspetti che invece non vengono modificati, si segnala qui soprattutto l'art. 15 della Direttiva Qualifiche, relativo alla definizione di "danno grave" come requisito per il riconoscimento della protezione sussidiaria. 
In particolare, la lett. c), interpretata nel febbraio 2009 dalla Corte di Giustizia UE nel famoso caso Elgafaji, necessitava forse di chiarimenti ulteriori da parte del legislatore che diminuissero le possibilità di applicazioni divergenti da parte dei singoli Stati. 
La Commissione però non se l'era sentita di avanzare proposte di modifica e dunque tutto rimane com'è, in attesa forse di nuove pronunce della Corte. 

La nuova Direttiva Qualifiche - o meglio, le disposizioni di questa che modificano la "vecchia" Direttiva Qualifiche - dovranno essere recepite dagli Stati membri vincolati entro il 21 dicembre 2013.
A decorrere da quella data, la Direttiva 2004/83/CE sarà abrogata, ma solo per gli Stati membri destinatari dalla nuova Direttiva Qualifiche. Si noti infatti che, come loro permesso dal relativo Protocollo annesso ai Trattati, il Regno Unito e l'Irlanda hanno scelto di non essere vincolate dalla Direttiva 2011/95/UE. Tali Stati continuano dunque a essere vincolati dalle norme della precedente Direttiva Qualifiche.
La Danimarca non è vincolata dalla Direttiva Qualifiche in virtù del Protocollo sulla sua posizione annesso ai Trattati.


Giurisprudenza della Corte di Giustizia UE

CGUE, C-465/07, Elgafaji, 17 febbraio 2009: la richiesta di un giudice olandese alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sull'art. 15 lett. c della Direttiva Qualifiche ha dato vita ad una delle pronunce più importanti della Corte di Giustizia UE in materia di asilo. Ciò non significa affatto che l'intervento della Corte abbia chiarito il punto e ulteriori richieste in merito sarebbero auspicabili.
La domanda del giudice nazionale, in sostanza, era se l'art. 15 c) debba essere interpretato nel senso che l’esistenza di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria sia subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione.

La risposta della Corte è la seguente: l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale; l’esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.



CGUE, C-175/08, Abdulla, 2 marzo 2010: il giudice aveva rivolto alla Corte diverse questioni:
1) se l’art. 11, n. 1, lett. e), della Direttiva debba essere interpretato nel senso che lo status di rifugiato si estingue nel momento in cui vengano meno le circostanze alla base del fondato timore del rifugiato stesso di essere perseguitato, ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva stessa, in base al quale il riconoscimento era stato concesso, e non sussistano altri motivi di timore di «essere perseguitato» ai sensi dello stesso art. 2, lett. c), della direttiva.
2) se, quando le circostanze in base alle quali lo status di rifugiato è stato riconosciuto abbiano cessato di sussistere e le autorità competenti dello Stato membro verifichino che non ricorrono altre circostanze che giustifichino il fondato timore della persona interessata di essere perseguitata, per il medesimo motivo inizialmente esistente o per uno degli altri motivi elencati all’art. 2, lett. c), della direttiva, il criterio di probabilità per l’esame del rischio derivante da dette altre circostanze sia lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato.
3) se l’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di atti o minacce precedenti di persecuzione, trovi applicazione quando le autorità competenti considerino di revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva e l’interessato, per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come rifugiato.

Queste le risposte della Corte:
1) L’art. 11, n.1, lett. e), della direttiva deve essere interpretato nel senso che:
- una persona perde lo status di rifugiato quando, considerato un cambiamento delle circostanze avente un carattere significativo e una natura non temporanea, occorso nel paese terzo interessato, vengano meno le circostanze alla base del fondato timore della persona stessa di essere perseguitata a causa di uno dei motivi di cui all’art.2, lett. c), della direttiva 2004/83, circostanze a seguito delle quali essa è stata riconosciuta come rifugiata, e non sussistano altri motivi di timore di «essere perseguitat[a]» ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83;
– ai fini della valutazione di un cambiamento delle circostanze, le autorità competenti dello Stato membro devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il soggetto o i soggetti che offrono protezione di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/83 abbiano adottato adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione;
– i soggetti che offrono protezione ex art. 7, n.1, lett. b), della direttiva 2004/83 possono comprendere organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, anche per mezzo della presenza di una forza multinazionale su tale territorio.
2) Quando le circostanze in base alle quali lo status di rifugiato è stato riconosciuto abbiano cessato di sussistere e le autorità competenti dello Stato membro verifichino che non ricorrono altre circostanze che giustifichino il fondato timore della persona interessata di essere perseguitata, per il medesimo motivo di quello inizialmente rilevante o per uno degli altri motivi elencati all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, il criterio di probabilità per l’esame del rischio derivante da dette altre circostanze è lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato.
3) L’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di atti o minacce precedenti di persecuzione, può applicarsi quando le autorità competenti intendano revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva 2004/83 e l’interessato, per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come rifugiato. Tuttavia, ciò potrà di regola verificarsi solamente quando il motivo di persecuzione sia diverso da quello considerato al momento del riconoscimento dello status di rifugiato e vi siano atti o minacce di persecuzione precedenti collegati al motivo di persecuzione esaminato in tale fase.



CGUE, C-31/09, Bobol, 17 giugno 2010: il giudice del rinvio chiede di sapere se, ai fini dell’applicazione dell’art. 12, n. 1, lett. a), primo periodo, della direttiva, una persona benefici della protezione o dell’assistenza di un’agenzia delle Nazioni Unite diversa dall'UNHCR per il solo fatto che tale persona ha diritto a detta protezione o a detta assistenza, o se sia necessario che sia effettivamente ricorsa alla protezione o all'assistenza. L'interpretazione della Corte privilegia la seconda ipotesi.


CGUE, C-57/09 e C-101/09, B & D, 9 novembre 2010: il giudice nazionale rivolge diverse questioni alla Corte:
1) se ci si trovi dinanzi ad un «reato grave di diritto comune» o ad «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite» ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva laddove la persona considerata abbia fatto parte di un’organizzazione che è presente nell'elenco di cui all'allegato della posizione comune 2001/931 per il suo coinvolgimento in atti terroristici e tale persona abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione, eventualmente occupando in quest’ultima una posizione preminente.
2) se l’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva sia subordinata alla circostanza che la persona considerata continui a rappresentare un pericolo per lo Stato membro d’accoglienza.
3) se l’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva sia subordinata ad un esame della proporzionalità alla luce del caso di specie.
4) se sia compatibile con la direttiva, ai sensi del suo art. 3, la circostanza che uno Stato membro riconosca un diritto d’asilo, a titolo del suo diritto costituzionale, ad una persona esclusa dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, della direttiva.

Queste le risposte della Corte:
1) L’art. 12, n. 2, lett. b e c), della direttiva deve essere interpretato nel senso che:
– la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell'elenco di cui all'allegato della posizione comune del Consiglio 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC, relativa all'applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, per il suo coinvolgimento in atti terroristici e abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da detta organizzazione non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la persona considerata abbia commesso un «reato grave di diritto comune» o «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite»;
– la constatazione, in siffatto contesto, della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se atti commessi dall'organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona considerata, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2.
2) L’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva 2004/83 non è subordinata alla circostanza che la persona considerata rappresenti un pericolo attuale per lo Stato membro di accoglienza.
3) L’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva 2004/83 non è subordinata ad un esame di proporzionalità alla luce del caso di specie.
4) L’art. 3 della direttiva 2004/83 deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri possono riconoscere un diritto d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, di tale direttiva, purché quest’altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato ai sensi della stessa direttiva.




CGUE, C-71/11 e C-99/11, Y e Z, 5 settembre 2012: domanda di pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte da un giudice tedesco che ha sottoposto le seguenti domande:

1) Se l’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva [Qualifiche] debba essere interpretato nel senso che non è necessariamente ravvisabile un atto di persecuzione nell'accezione della succitata norma in qualunque lesione della libertà di religione che costituisca una violazione dell’articolo 9 della CEDU, e che invece una violazione grave della libertà di religione quale diritto umano fondamentale sussista solo quando ne sia colpito il nucleo essenziale.

2) Nel caso in cui la questione sub 1) debba essere risolta affermativamente:
a) Se il nucleo essenziale della libertà di religione sia circoscritto alla professione del proprio credo e alle pratiche religiose nell'ambito domestico e di vicinato, o se sia ravvisabile un atto di persecuzione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva [Qualifiche] anche nel fatto che nel paese di origine l’esercizio della fede in pubblico comporta un pericolo per l’incolumità, la vita o la libertà fisica e il richiedente vi rinuncia per tali ragioni.
b) Qualora il nucleo essenziale della libertà di religione possa comprendere anche talune pratiche religiose svolte in pubblico:
– se, in questo caso, ai fini di una grave violazione della libertà di religione, sia sufficiente che il richiedente percepisca la suddetta pratica della fede come irrinunciabile al fine di preservare la propria identità religiosa;
– o se, in aggiunta, sia necessario che la comunità religiosa cui il richiedente appartiene consideri la suddetta pratica come un elemento centrale della propria dottrina religiosa;
- o  se ulteriori restrizioni possano risultare da altre circostanze, ad esempio dalla situazione generale nel paese di origine.

3) Nel caso in cui la questione sub 1) debba essere risolta affermativamente:
Se sussista un timore fondato di essere perseguitato nell'accezione dell’articolo 2, lettera c), della direttiva [Qualifiche], qualora sia accertato che il richiedente, una volta tornato nel paese di origine, compirà talune pratiche religiose – esulanti dal nucleo essenziale della libertà di religione – sebbene queste comportino un pericolo per la sua incolumità, vita o libertà fisica, oppure se ci si possa ragionevolmente aspettare che il richiedente rinunci a tali pratiche.

La Corte decide di esaminare congiuntamente il primo e il secondo quesito e fornisce le seguenti risposte:
1) l'art. 9, par. 1, lett. a) della Direttiva Qualifiche deve essere interpretato nel senso che:
non è ravvisabile un «atto di persecuzione», nell'accezione di detta norma della direttiva, in qualunque lesione del diritto alla libertà di religione che violi l’articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
– l’esistenza di un atto di persecuzione può risultare da una violazione della manifestazione esteriore di tale libertà, e
– per valutare se una lesione del diritto alla libertà di religione che viola l’articolo 10, paragrafo 1, della Carta possa costituire un «atto di persecuzione», le autorità competenti devono verificare, alla luce della situazione personale dell’interessato, se questi, a causa dell’esercizio di tale libertà nel paese d’origine, corra un rischio effettivo, in particolare, di essere perseguitato, o di essere sottoposto a trattamenti o a pene disumani o degradanti ad opera di uno dei soggetti indicati all'articolo 6 della direttiva.

2) L’articolo 2, lettera c), della direttiva deve essere interpretato nel senso che il timore del richiedente di essere perseguitato è fondato quando le autorità competenti, alla luce della situazione personale del richiedente, considerano ragionevole ritenere che, al suo ritorno nel paese d’origine, egli compirà atti religiosi che lo esporranno ad un rischio effettivo di persecuzione. Nell'esaminare su base individuale una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, dette autorità non possono ragionevolmente aspettarsi che il richiedente rinunci a tali atti religiosi.


domenica 22 maggio 2011

Direttiva Procedure - SCHEDA



Base giuridica: art. 78, par. 2, lett. d) TFUE

La direttiva 2013/32/UE costituisce "rifusione" della direttiva 2005/85/CE. Detta in modo più semplice, questa "nuova" direttiva procedure (del 2013) sostituisce la "vecchia" direttiva procedure (del 2005).

Premessa
La direttiva è uno strumento vincolante, che necessita però (al contrario dei regolamenti) di un atto di recepimento nell'ordinamento interno dei vari Stati membri. Tale recepimento, in questo caso, doveva intervenire entro il 20 luglio 2015.
La direttiva 2013/32/UE è finalizzata, come si legge nel preambolo, a "sviluppare ulteriormente le norme relative alle procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, così da istituire una procedura comune di asilo nell'Unione".
Tuttavia, come vedremo meglio più avanti, anche in questa nuova versione, la direttiva procedure lascia un certo margine di manovra agli Stati nel recepimento, facendo talvolta ricorso a formule non vincolanti (come ad es. "gli Stati possono...") o comunque vaghe, nonché a varie possibilità di deroghe (si vedano per tutte le disposizioni sulla durata massima dell'esame delle domande in prima istanza). 
All'interno di questa scheda metteremo sempre in evidenza quando la direttiva obbliga gli Stati a fare (o non fare) qualcosa e quando invece si limita a dar loro la possibilità di fare o non fare o magari di scegliere tra diverse opzioni.

Questo margine di manovra è certamente ridotto rispetto alla vecchia versione della direttiva procedure ma non è stato affatto eliminato. Ciò, assieme alla possibilità lasciata agli Stati (dall'art. 5 della direttiva) di introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli rispetto a quelli della direttiva, fa sì che anche dopo il recepimento di questa nuova direttiva continueranno inevitabilmente ad esistere sostanziali differenze nelle norme interne dei vari Stati. 

Processo di recepimento della direttiva nel diritto interno
Gli Stati membri vincolati dalla nuova direttiva – tutti gli Stati membri dell'UE tranne Regno Unito, Irlanda e Danimarca – dovevano recepire nei rispettivi ordinamenti interni le novità introdotte dalla direttiva 2013/32/UE entro il 20 luglio 2015. Si noti bene: non tutte le novità dovevano essere recepite entro questa data. Come si dirà meglio sotto, i nuovi termini massimi per l'esame delle domande di protezione internazionale in prima istanza possono essere recepiti dagli Stati entro il 20 luglio 2018.

Abrogazione della "vecchia" direttiva 
A partire dal 21 luglio 2015, la direttiva 2005/85/CE è dunque abrogata (solo per gli Stati vincolati dalla nuova direttiva: Regno Unito e Irlanda, che avevano scelto di partecipare alla vecchia direttiva, rimangono vincolati a quella).

La procedura di adozione della "nuova" direttiva
La procedura seguita per l'adozione è stata quella "ordinaria". Ciò significa che, contrariamente a quanto avvenuto per la vecchia direttiva, in questo caso il Parlamento europeo ha avuto un ruolo importante, di co-legislatore assieme al Consiglio UE (cioè agli Stati); peraltro, in seno al Consiglio, si è votato a "maggioranza qualificata" e non più all'unanimità.

Il contenuto della direttiva
La nuova direttiva procedure è uno strumento estremamente complesso che consta di ben 62 Considerando (che compongono il Preambolo della direttiva, cioè la parte non vincolante ma che comunque può servire ad interpretare la parte vincolante) e di 55 articoli, divisi in 6 Capi.
Fin dal titolo si può notare come, conformemente al nuovo art. 78 TFUE, non si parla più di "norme minime per le procedure applicate negli Stati membri" ma semplicemente di "procedure comuni". Ciò ha un'importanza relativa, benché alluda certamente al maggior ravvicinamento delle norme nazionali, perseguito dal legislatore europeo. Tuttavia, se si considera il già menzionato art. 5 della direttiva (e dunque la possibilità per gli Stati di introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli), è ovvio che anche le procedure di cui alla nuova direttiva siano da considerarsi degli standard minimi (nel senso che non è possibile per gli Stati scendere al di sotto). 

In questa scheda presentiamo un'analisi articolo per articolo della nuova direttiva procedure nel suo complesso (dunque non solo delle novità introdotte nel 2013, che comunque rimarcheremo laddove necessario). 
Proprio per l'estrema complessità dell'atto e l'impossibilità in questa sede di entrare nel dettaglio oltre un certo limite, raccomandiamo di leggere questa scheda assieme al testo della direttiva, incluso il suo Preambolo a cui anche in questa scheda si farà talora riferimento per interpretare passaggi poco chiari della direttiva. 
Da ultimo, sottolineiamo come, proprio a causa della possibilità, che già esisteva nella vecchia direttiva, di introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli, alcune delle novità introdotte dalla direttiva 2013/32/UE in realtà non risulteranno tali al lettore italiano, in quanto il nostro legislatore aveva già recepito in senso talvolta più favorevole le disposizioni della direttiva procedure del 2005.



Capo 1 – Disposizioni generali


Art. 1: stabilisce l'obiettivo della direttiva, che è quello di "stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE" (cioè la nuova direttiva qualifiche). Da sottolineare l'ampliamento dell'oggetto dal riconoscimento e revoca dello status di rifugiato a quello dello status di protezione internazionale (anche se era già possibile per gli Stati applicare le regole della vecchia direttiva anche ai fini del riconoscimento e della revoca di altri tipi di protezione). 

L'art. 2 contiene le definizioni. Tra le tante, ci limitiamo qui a sottolineare quelle di: 

  • richiedente e domanda di protezione internazionale che, in linea con il resto della normativa europea in materia, confermano come la direttiva si applichi solo a cittadini provenienti da un Paese terzo (= non UE) o apolidi
  • richiedente che necessita di garanzie procedurali particolari (novità; V. sotto, art. 24)
  • domanda reiterata: "un'ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente [...]" (V. sotto, articoli 40-42)


Art. 3 - Ambito di applicazione: la direttiva si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali (novità) o nelle zone di transito, mentre non si applica alle domande di asilo presentate presso le rappresentanze diplomatiche degli Stati membri. Inoltre gli Stati hanno la possibilità di applicare la direttiva all'esame di domande dirette a ottenere forme di protezione diverse da quelle che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva qualifiche.

Art. 4 - Autorità responsabili: si prevede l'obbligo per gli Stati di designare un'autorità responsabile per l'esame delle domande e provvedere affinché tale autorità disponga di mezzi appropriati per assolvere ai propri compiti. In particolare, si prevede (novità di questa direttiva) l'obbligo per gli Stati di provvedere affinchè il personale "abbia ricevuto una formazione adeguata". L'utilizzo del verbo al passato fa ritenere obbligatorio che la formazione sia già stata ricevuta prima di iniziare il lavoro. Inoltre, il personale che conduce le interviste con i richiedenti deve aver acquisito (ancora, si noti il tempo al passato) "una conoscenza generale dei problemi che potrebbero compromettere la capacità del richiedente di sostenere il colloquio".

Il già citato art. 5 conferma la possibilità per gli Stati di "introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli", purché compatibili con la direttiva



Capo 2 – Principi fondamentali e garanzie


Accesso alla procedura
L'art. 6 stabilisce un termine massimo per la registrazione della domanda di protezione internazionale di tre-sei giorni dalla presentazione, prorogabili di dieci giorni lavorativi in caso di domande simultanee da parte di un "numero elevato" di persone (art. 6 par. 5). Si prevede inoltre l'obbligo per gli Stati di garantire che le autorità preposte a ricevere le domande abbiano "il livello necessario di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro responsabilità".

Domande presentate per conto di persone a carico
L'art. 7 stabilisce, oltre al diritto di ogni adulto con capacità di agire di presentare una domanda di protezione internazionale per proprio conto, la possibilità per gli Stati di prevedere che un richiedente possa presentare una domanda a nome delle persone a suo carico, salvo l'obbligo di chiedere il consenso agli adulti a carico, informandoli in privato (novità), prima della richiesta di consenso, delle conseguenze procedurali e del diritto a chiedere comunque la protezione internazionale con domanda separata. 

Informazioni nei centri di trattenimento e ai valichi di frontiera
Il nuovo articolo 8 introduce l'obbligo per gli Stati di fornire, nei centri di trattenimento e ai valichi di frontierainformazioni sulla possibilità di presentare domanda di asilo, nonché di garantire servizi di interpretazione necessari per agevolare l'accesso alla procedura. E' fatto inoltre obbligo agli Stati di garantire alle organizzazioni e persone che prestano consulenza e assistenza l'effettivo accesso ai richiedenti presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne. Gli Stati hanno la possibilità di imporre limiti a tale accesso solo se obiettivamente necessario per l'ordine pubblico, la sicurezza o la gestione amministrativa dei valichi (e sempre a patto che ciò non renda l'accesso impossibile o seriamente ristretto).

Diritto del richiedente a rimanere sul territorio
L'art.9 stabilisce il diritto del richiedente a rimanere nello Stato membro fino alla decisione in primo grado (sulla possibilità di rimanere anche in fase di ricorso, V. art. 46), salvo alcune eccezioni in caso di domanda reiterata (V. art. 41) o casi di estradizione verso altri Stati membri o Stati terzi. In caso di Stati terzi, la nuova direttiva esplicita (al comma 3) che l'estradizione è possibile solo se è accertato che essa non comporterà refoulement diretto o indiretto.

Criteri applicabili all'esame delle domande
In base all'art. 10 gli Stati hanno l'obbligo di non respingere né escludere dall'esame le domande di protezione internazionale "per il semplice fatto di non essere state presentate tempestivamente". Si aggiunge poi, rispetto alla vecchia direttiva, la precisazione (comma 2) che l'autorità accertante deve prima esaminare se il richiedente abbia diritto allo status di rifugiato e, solo in caso contrario, verificare se sia ammissibile alla protezione sussidiaria. Il comma 3 prevede l'obbligo che l'esame delle domande sia congruo e, a tal fine, impone agli Stati: i) di esaminare le domande e prendere le decisioni in modo individuale, obiettivo e imparziale; ii) di mettere a disposizione del personale incaricato dell'esame delle domande informazioni precise e aggiornate, tratte da varie fonti (fra cui UNHCR, EASO e le organizzazioni internazionali per i diritti umani), sui Paesi di origine e di transito dei richiedenti asilo; iii) che il personale incaricato di esaminare le domande conosca i criteri applicabili in materia di asilo; iv) (novità) che il personale incaricato abbia la possibilità (laddove necessario) di consultare esperti in campo medico, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori. Si prevede poi l'obbligo per gli Stati (nella vecchia direttiva era una possibilità) di prevedere norme relative alla traduzione dei documenti pertinenti ai fini dell'esame delle domande. 

Criteri applicabili alle decisioni
L'art. 11 contiene l'obbligo di comunicare le decisioni sulle domande di asilo per iscritto, nonché di motivare de iure e de facto le decisioni che non riconoscono lo status di rifugiato e/o la protezione sussidiaria (e il richiedente deve essere informato per iscritto sui mezzi di impugnazione, prima o dopo la decisione). È prevista poi la possibilità per gli Stati di adottare un'unica decisione nei confronti di tutte le persone a carico, quando la domanda presentata ai sensi dell'art. 7 comma 2 sia fondata sugli stessi motivi e (novità) sempre che ciò non comporti un possibile nocumento agli interessi di una delle persone, in particolare nei casi di persecuzione per motivi di genere, orientamento sessuale, identità di genere o età.

Garanzie per i richiedenti asilo
L'art. 12 contiene le garanzie che gli Stati debbono riconoscere ai richiedenti asilo nelle procedure di primo grado. In particolare si tratta dei seguenti obblighi a carico degli Stati: i) di informazione (in una lingua che il richiedente capisce o è ragionevole supporre possa capire) su procedura, diritti e doveri, conseguenze del mancato adempimento, mezzi per presentare gli elementi su cui si basa la sua domanda di protezione, conseguenze di un ritiro della domanda (novità); ii) di fornire ai richiedenti asilo, con fondi pubblici, l'assistenza di un interprete laddove necessario e in particolare durante le audizioni; iii) di non negare ai richiedenti la possibilità di comunicare con l'UNHCR o altre organizzazioni che prestino assistenza; iv) di garantire al richiedente e al suo avvocato l'accesso alle informazioni sui Paesi di origine e di transito usate dall'autorità accertante, nonché alle informazioni fornite dagli esperti di cui all'art. 10, se tali informazioni sono state prese in considerazione al fine di prendere la decisione; v) di informare il richiedente dell'esito della decisione in una lingua che capisce o è ragionevole supporre possa capire. In base all'art. 12 par. 2, le garanzie di cui ai punti da ii) a iv) devono essere fornite al richiedente asilo anche nell'eventuale procedura di impugnazione.

Obblighi dei richiedenti
All'art. 13 si trovano invece gli obblighi che gli Stati possono o debbono imporre ai richiedenti asilo. In particolare, vi troviamo i) l'obbligo per gli Stati di imporre ai richiedenti asilo di cooperare con le autorità ai fini dell'accertamento dell'identità; ii) la possibilità di imporre ai richiedenti asilo altri obblighi qualora siano necessari per il trattamento della domanda: in particolare, la direttiva menziona l'obbligo di comparire davanti alle autorità, di consegnare i documenti pertinenti in loro possesso, di informare le autorità sui cambi di residenza o domicilio, nonché la possibilità per le autorità di perquisire il richiedente (nel rispetto della dignità umana e di integrità fisica e psicologica), di fotografarlo e di registrare le dichiarazioni orali del richiedente, previamente informato. 

Colloquio personale
L'art. 14 prevede il diritto del richiedente asilo ad un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale prima che sia presa una decisione in merito. Il colloquio deve essere condotto dal personale dell'autorità accertante (V. art. 4). È prevista (par. 1, secondo capoverso) la possibilità per gli Stati di ricorrere a personale di altre autorità in caso di presentazione di un numero così elevato di domande simultanee che renda "impossibile all'atto pratico [...] svolgere tempestivamente colloqui sul merito di ogni domanda", ma solo temporaneamente e a condizione che tale personale riceva in anticipo la formazione pertinente
In caso di domanda presentata a nome di altre persone a carico del richiedente, è previsto l'obbligo (non più solo la facoltà) per gli Stati di dare la possibilità a ciascun adulto a carico di sostenere un colloquio personale. Rimane invece la facoltà per gli Stati di stabilire in quali casi dare questa possibilità a un minore. 
È possibile per gli Stati omettere il colloquio personale sul merito della domanda solo in due casi: 1) l'autorità accertante è in grado di prendere una decisione positiva riguardo allo status di rifugiato basandosi sulle prove acquisite; 2) l'autorità accertante reputa che il richiedente sia incapace o non sia in grado di sostenere un colloquio "a causa di circostanze persistenti che sfuggono al suo controllo" (è previsto in caso di dubbio l'obbligo di consultare un medico). 
La mancanza di un colloquio non osta a che sia presa una decisione, né la mancanza di un colloquio per ragioni di incapacità (sopra, punto 2) può influire negativamente. È possibile invece per gli Stati tener conto del fatto che il richiedente non si sia presentato, a meno di validi motivi.

Svolgimento del colloquio personale
Il colloquio si svolge (art.15): 

  1. di norma, senza la presenza dei familiari, a meno che l'autorità accertante non lo ritenga necessario per un esame adeguato;
  2. in condizioni atte a garantire la riservatezza adeguata;
  3. in condizioni che consentano al richiedente di esporre esaurientemente i motivi alla base della sua domanda. A tal scopo è previsto: a) l'obbligo per gli Stati di prevedere che la persona che conduce il colloquio abbia la competenza per tenere conto del contesto personale e generale, inclusa l'origine culturale, la vulnerabilità, nonché (novità) il genere, l'orientamento sessuale o l'identità sessuale del richiedente; b) (novità) che, se possibile, su richiesta del richiedente, il colloquio sia condotto da una persona dello stesso sesso; c) l'obbligo per gli Stati di selezionare interpreti (novità: se possibile dello stesso sesso del richiedente, se così richiesto) idonei a garantire una comunicazione adeguata e di svolgere il colloquio nella lingua prescelta dal richiedente o in altra che capisce e nella quale è in grado di comunicare chiaramente (aspetto di molto chiarito rispetto alla vecchia direttiva); d) il divieto per la persona che conduce il colloquio di indossare un'uniforme militare o di polizia; e) l'obbligo di condurre i colloqui con i minori con modalità consone all'età.


E' possibile per gli Stati prevedere norme sulla presenza di terzi durante i colloqui.

Contenuto del colloquio
Con il nuovo art. 16 si inserisce l'obbligo per gli Stati di assicurare che al richiedente sia data una congrua possibilità di presentare gli elementi necessari a motivare la domanda e, in particolare, l'opportunità di spiegare l'eventuale assenza di elementi o eventuali incongruenze o contraddizioni.

Verbale
L'art. 17 prevede l'obbligo di redigere un verbale accurato e circostanziato, che comprenda una trascrizione del colloquio o almeno tutti gli elementi sostanziali. È prevista la possibilità di disporre una registrazione sonora o audiovisiva del colloquio. È obbligatorio dare la possibilità al richiedente di fornire chiarimenti o formulare osservazioni su eventuali malintesi o errori di traduzione contenuti nel verbale al termine del colloquio o comunque prima della decisione e a tal scopo gli Stati devono (nella vecchia direttiva era solo una facoltà) chiedere al richiedente di confermare che il verbale rifletta correttamente il colloquio (quest'obbligo viene meno se il colloquio è registrato e se la registrazione è ammissibile come prova nelle procedure di impugnazione). Se il richiedente rifiuta di confermarlo, ciò non osta a che venga presa una decisione.

Visita medica
L'art. 18 prevede che, qualora sia reputato pertinente dall'autorità accertante, si disponga una visita medica (con il consenso del richiedente) sui segni che potrebbero indicare persecuzioni o danni gravi subiti. Tale visita deve essere effettuata da professionisti qualificati ed è pagata con fondi pubblici. È comunque sempre possibile per i richiedenti sottoporsi, a proprie spese, a visite mediche anche se le autorità non dovessero disporlo. È obbligatorio per l'autorità accertante valutare gli esiti di tali visite congiuntamente agli altri elementi della domanda. 

Le disposizioni sulle informazioni di carattere giuridico e sull'assistenza e rappresentanza legali si fanno, nella nuova direttiva, decisamente più articolate. In particolare si prevede:

  • Obbligo (art. 19) per gli Stati di far sì che i richiedenti ricevano gratuitamente, su richiesta, informazioni giuridiche e procedurali in primo grado (novità), nonché, in caso di diniego, informazioni sulle motivazioni e le modalità di impugnazione
  • Possibilità, non obbligo, di fornire assistenza e rappresentanza legali gratuite nelle procedure di primo grado (art. 20.2).
  • In caso di impugnazione, è previsto l'obbligo per gli Stati di concedere, su richiesta, assistenza e rappresentanza legali gratuite. È tuttavia possibile non accordarle se un giudice o altra autorità – in quest'ultimo caso la decisione è soggetta comunque alla possibilità di un ricorso effettivo davanti a un giudice – ritiene che il ricorso del richiedente non abbia prospettive concrete di successo (e sempre che l'assistenza e la rappresentanza non siano oggetto di restrizioni arbitrarie e che non sia ostacolato l'accesso effettivo del richiedente alla giustizia).
  • E' possibile inoltre (art. 21) per gli Stati prevedere: i) che le informazioni di cui all'art. 19 e l'assistenza e la rappresentanza di cui all'art. 20 siano fornite solo a chi non disponga delle risorse necessarie e siano limitate nella quantità e nella durata (purché ciò non costituisca una restrizione arbitraria); ii) che l'assistenza e la rappresentanza siano fornite solo in fase di impugnazione in primo grado e non anche nelle fasi successive e che non siano fornite ai richiedenti che non sono più presenti sul loro territorio; iii) la possibilità di chiedere un rimborso in caso di considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente asilo o in caso di informazioni false fornite da quest'ultimo.
  • Si conferma (art. 22) il diritto del richiedente asilo di consultare, a proprie spese, in qualunque momento della procedura, un avvocato o altro consulente legale.
  • L'art. 23 par. 1 dispone l'obbligo di concedere all'avvocato o altro consulente legale che assiste o rappresenta il richiedente accesso alle informazioni contenute nella pratica e sulla cui base è stata o sarà presa una decisione. Sono possibili eccezioni in casi che chiamano in causa interessi investigativi, relazioni internazionali, la sicurezza nazionale o delle persone che forniscono le informazioni o a cui le informazioni si riferiscono (e deve essere comunque garantito accesso a tali informazioni ai giudici). Deve essere garantito (art. 23 par. 2) accesso all'avvocato o altro consulente legale ai centri di trattenimento e alle zone di transito per consultare il richiedente. 
  • È previsto (art. 23 par. 3) l'obbligo, già nelle procedure di primo grado, di acconsentire a che un richiedente possa farsi accompagnare al colloquio da un avvocato o consulente legale ammesso o autorizzato a norma del diritto nazionale, ma è possibile limitare l'intervento di questi solo alla fine del colloquio e (par. 4) chiedere comunque al richiedente di rispondere personalmente alle domande poste. 


Garanzie procedurali particolari
E' inserito (art. 24) un nuovo obbligo per gli Stati di valutare, entro un termine ragionevole dopo la presentazione della domanda, se il richiedente necessiti di garanzie procedurali particolari. Tale valutazione non può assumere la forma di una procedura amministrativa. In caso positivo, la direttiva prevede l'obbligo di fornire sostegno adeguato durante tutta la procedura di asilo per poter godere dei diritti e adempiere gli obblighi previsti dalla direttiva. E' fatto divieto agli Stati di poter ricorrere a procedure accelerate o in frontiera o zone di transito qualora sia impossibile fornire, nel contesto di quelle procedure, tale sostegno alle persone che lo necessitino. Le stesse garanzie valgono qualora tale necessità emerga solo in una fase successiva. 
L'articolo, piuttosto scarno, non dà ulteriori informazioni. Nel preambolo della direttiva (e in particolare al Considerando n° 29) troviamo elencati alcuni casi (la lista non è esaustiva) in cui il richiedente potrà essere considerato come bisognoso di "garanzie procedurali particolari": età, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, grave malattia psichica, torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale. "A tali richiedenti", si legge sempre nel Considerando, "è opportuno fornire un sostegno adeguato, compreso tempo sufficiente, così da creare i presupposti necessari affinché accedano effettivamente alle procedure e presentino gli elementi richiesti per istruire la loro domanda di protezione internazionale". 
Il Considerando n° 31 dà agli Stati un'altra indicazione: le misure dirette "a identificare e documentare i sintomi e i segni di tortura o altri gravi atti di violenza fisica o psicologica, compresi atti di violenza sessuale [...] possono tener conto, tra l'altro, del Manuale per un'efficace indagine e documentazione di tortura e altro trattamento o pena crudele, disumano o degradante (protocollo di Istanbul)."

Come abbiamo già detto, il preambolo è una parte non vincolante della direttiva che comunque deve essere utilizzato per interpretare la stessa, soprattutto laddove – come in questo caso – la parte vincolante del testo non sia eccessivamente chiara o completa. 

L'art. 25 è dedicato alle garanzie per i minori non accompagnati. Al comma 6 si trova il principio generale del superiore interesse del minore che deve essere criterio fondamentale nell'attuazione da parte degli Stati della direttiva (e che dunque forse sarebbe stato meglio inserire in una posizione più "visibile"). Al comma 1 invece si prevede l'obbligo per gli Stati di: i) nominare un rappresentante del minore (una possibile deroga a quest'obbligo è inserita al comma 2: se raggiungerà l'età di 18 anni presumibilmente prima della decisione in primo grado) per consentirgli di godere dei diritti e adempiere gli obblighi della direttiva e dare immediata comunicazione in merito al minore stesso (sono inoltre previsti obblighi di comportamento del rappresentante e regole sul conflitto di interessi); ii) dare la possibilità al rappresentante di informare il minore sul colloquio e su come prepararsi, nonché di permettere al rappresentante (e/o all'avvocato o altro consulente legale) di partecipare al colloquio e di porre domande o formulare osservazioni
È inoltre fatto obbligo agli Stati di provvedere affinché il colloquio dell'autorità accertante con un minore non accompagnato sia condotto (e la decisione sulla domanda di un minore non accompagnato sia preparata) da una persona con la competenza necessaria in materia.
Circa le modalità di accertamento dell'età, è prevista la possibilità per gli Stati di ricorrere a visite mediche, qualora le autorità nutrano dubbi; se, a seguito di queste visite, continuano a rimanere dei dubbi, il richiedente si considera minore. Le visite devono essere effettuate (novità) nel pieno rispetto della dignità, con l'esame meno invasivo possibile, e devono essere condotte da professionisti qualificati. È obbligatorio informare il minore circa l'esame e le sue conseguenze ed è necessario il suo consenso (e/o quello del suo rappresentante); un eventuale rifiuto di sottoporsi a tale visita non osta a che l'autorità accertante prenda una decisione sulla domanda di protezione internazionale, né può essere l'unica motivazione alla base di un rigetto.

Trattenimento - art. 26: la direttiva si limita a ripetere la regola generale secondo cui una persona non può essere trattenuta solo perché richiedente asilo e rimanda poi alla nuova direttiva accoglienza per i motivi, le condizioni e le garanzie del trattenimento.

In caso di ritiro esplicito della domanda di protezione internazionale la direttiva (art. 27) lascia facoltà agli Stati di decidere se sospendere l'esame o respingere la domanda.

In materia di ritiro implicito della domanda, si prevede invece (art. 28) che "qualora vi siano ragionevoli motivi per ritenere che il richiedente abbia implicitamente ritirato la domanda o rinunciato a essa", l'autorità accertante possa decidere di sospendere l'esame o – dopo un adeguato esame nel merito – respingere la domanda. Si precisano poi quali sono le condizioni alle quali gli Stati possono presumere che si sia in presenza di un ritiro implicito: i) mancata presentazione al colloquio (salvo dimostri cause di forza maggiore) e mancata risposta alla richiesta di fornire informazioni essenziali per la sua domanda;  ii) in caso di allontanamento dal luogo in cui il richiedente viveva o era trattenuto senza aver contattato le autorità entro un termine ragionevole (salvo dimostri che ciò era dovuto a circostanze che sfuggono al suo controllo). 
E' previsto inoltre l'obbligo per gli Stati, qualora un richiedente si ripresenti dopo che sia stata presa una decisione di sospendere l'esame della sua domanda, di permettere al richiedente di chiedere la riapertura del suo caso o (novità) di presentare una nuova domanda che non sarà considerata come una domanda reiterata. E' possibile però per gli Stati fissare un termine (non inferiore a 9 mesi), scaduto il quale è possibile non riaprire un caso sospeso a seguito di ritiro implicito o considerare la nuova domanda come reiterata.  

In base all'art. 29 è fatto obbligo agli Stati di consentire all'UNHCR di avere accesso ai richiedenti, inclusi quelli trattenuti, quelli in frontiera e in zone di transito, nonché di avere accesso, previo consenso del richiedente, alle informazioni sulle singole domande e di presentare pareri a qualsiasi autorità competente.

L'art. 30 prevede il divieto per gli Stati di rivelare – direttamente o indirettamente – ai presunti responsabili della persecuzione o del danno grave, non solo le informazioni relative alle singole domande di protezione internazionale ma anche il fatto che queste siano state presentate, nonché di ottenere informazioni da questi secondo modalità che potrebbero rivelare loro che il richiedente ha presentato domanda e che potrebbero nuocere al richiedente stesso o ai suoi familiari nel paese di origine.



Capo 3 – Procedure di primo grado



L'art. 31, dopo aver stabilito la regola generale secondo cui le domande devono essere esaminate conformemente ai principi e alle garanzie di cui al capo 2, si occupa di dettare i tempi (e le relative eccezioni) per l'esame delle domande. Inoltre, elenca una serie di casi in cui è possibile esaminare le domande in via prioritaria o secondo una procedura accelerata o in frontiera o in zone di transito


Quanto ai tempi, va detto innanzitutto che si tratta di un passo in avanti rispetto alla direttiva del 2005, che non prevedeva alcun termine massimo e si limitava a stabilire l'obbligo per gli Stati di informare il richiedente nel caso in cui non prendessero una decisione entro sei mesi. Tuttavia, come si vedrà sotto, rimangono ancora notevoli possibilità di prolungare la conclusione della procedura, oltre tutto in casi assai vagamente definiti e che lasciano ancora un enorme margine di manovra agli Stati. Inoltre, va ricordato che, in base all'art. 51 par. 2 della direttiva, le disposizioni relative alle scadenze entro cui portare a termine l'esame delle domande possono essere recepite dagli Stati entro il 20 luglio 2018 e non entro il 20 luglio 2015. 
La procedura di esame, si legge al par. 2, deve essere espletata "quanto prima possibile, fatto salvo un esame adeguato e completo". 
Il primo termine che compare (al par. 3) è quello di "sei mesi dalla presentazione della domanda" o, se del caso, dal momento in cui si è determinato lo Stato responsabile ai sensi del Regolamento Dublino e il richiedente è stato preso in carico dall'autorità competente. 
E' prevista poi la possibilità di prorogare il termine di 9 mesi (dunque fino a 15 mesi) i) se il caso presenta questioni complesse in fatto e/o in diritto; ii) in caso di un "gran numero" di domande presentate contemporaneamente; iii) qualora il ritardo può essere chiaramente attribuito alla mancata osservanza degli obblighi da parte del richiedente.
Non solo. E' possibile prorogare di ulteriori 3 mesi (dunque fino a 18 mesi), in casi "eccezionali e debitamente motivati", se necessario per "assicurare un esame adeguato e completo".
Non solo. E' altresì possibile rimandare ancora la conclusione della procedura "a causa di una situazione incerta nel paese di origine che sia presumibilmente temporanea". 
Il termine massimo, in ogni caso, è fissato dal par. 5 dell'art. 31 a 21 mesi dalla presentazione della domanda

Esame in via prioritaria
E' possibile (art. 31 par. 7) per gli Stati esaminare le domande (conformemente ai principi e alle garanzie di cui al capo 2) in via prioritaria in due casi: i) la domanda è verosimilmente fondata (non si specifica se si intende la fondatezza come riferita solo allo status di rifugiato, dunque si deve ritenere che il riferimento sia anche alla protezione sussidiaria); ii) il richiedente è vulnerabile ai sensi dell'art. 22 della direttiva accoglienza o necessita di garanzie procedurali particolari (V. sopra, art. 24), specialmente in caso di minori non accompagnati.

Procedura accelerata e/o svolta in frontiera o in zone di transito
In base all'art. 31 par. 8, è possibile per gli Stati far ricorso (sempre nel rispetto dei principi e delle garanzie di cui al capo 2) a procedure di questo tipo in una serie molto ampia – benché inferiore rispetto alla vecchia direttiva – di casi alternativi fra di loro, peraltro definiti in maniera ancora una volta vaga e che lascia nuovamente un grande margine di manovra agli Stati: 
i) se il richiedente nel presentare la domanda "ha sollevato questioni che non hanno alcuna pertinenza"; 
ii) se il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro (V. sotto, art. 36);
iii) se il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi od omettendo informazioni o documenti relativi alla sua identità o cittadinanza che avrebbero potuto influire negativamente; 
iv) se "è probabile che, in mala fede, il richiedente abbia distrutto o comunque fatto sparire un documento di identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l'identità o la cittadinanza"; 
v) in caso di dichiarazioni del richiedente "palesemente incoerenti e contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili", in contraddizione con informazioni sufficientemente verificate sul paese di origine e che rendano  pertanto "chiaramente non convincente la sua asserzione"; 
vi) in caso di domanda reiterata (V. sotto, art. 40); 
vii) se la domanda è presentata al solo scopo di ritardare o impedire una decisione (anteriore o imminente) di allontanamento
viii) se il richiedente è entrato illegalmente nel territorio o vi è rimasto illegalmente e, "senza un valido motivo, non si è presentato alle autorità o non ha presentato domanda di protezione internazionale quanto prima possibile"; 
ix) qualora il richiedente rifiuti di farsi prendere le impronte ai sensi del Regolamento Eurodac
x) se il richiedente, per gravi ragioni, può essere considerato un pericolo per la sicurezza nazionale o l'ordine pubblico.
E' previsto (al par. 9) l'obbligo per gli Stati di fissare termini "ragionevoli" per queste procedure accelerate. 
Il ricorso a una procedura accelerata è particolarmente importante, come si vedrà meglio sotto, per quanto riguarda la possibilità o meno di rimanere sul territorio dello Stato membro in fase di impugnazione

Domande infondate o manifestamente infondate
In base all'art. 32, gli Stati possono ritenere una domanda:

  • infondata, "solo se l'autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi" della direttiva qualifiche, oltre che in caso di ritiro della domanda (V. art. 27)
  • manifestamente infondata, qualora a una domanda infondata si applichi una qualsiasi delle circostanze che possono portare a una procedura accelerata (V. sopra, art. 31 par. 8)


Domande inammissibili
Gli Stati (art. 33) non sono tenuti a esaminare una domanda, giudicandola inammissibile, solo nei seguenti casi (lista chiusa): 
i) un altro Stato membro ha riconosciuto la protezione internazionale;
ii) uno Stato terzo è considerato Paese di primo asilo (V. sotto, art. 35); 
iii) uno Stato terzo è considerato Paese terzo sicuro (V. sotto, art. 38); 
iv) in caso di domanda reiterata (V. sotto, art. 40); 
v) in caso di domanda presentata da persona a carico che aveva in precedenza acconsentito a che la domanda fosse presentata a suo nome e qualora non vi siano elementi che giustificano una domanda separata.
Prima di considerare una domanda come inammissibile, tuttavia, gli Stati hanno l'obbligo (art. 34) di consentire al richiedente di esprimersi in merito in un colloquio personale (tranne in caso di domanda reiterata, V. art. 40). 

Paese di primo asilo
In base all'art. 35 è considerabile Paese di primo asilo quello in cui il richiedente è stato riconosciuto rifugiato e possa avvalersi di tale protezione, oppure in cui goda "altrimenti di protezione sufficiente", incluso il principio di non respingimento, e solo a patto che venga riammesso in questo Paese. In questo caso, come abbiamo visto sopra, gli Stati possono giudicare una domanda come inammissibile e dunque non procedere all'esame.

Paese di origine sicuro
Gli articoli 36 e 37 si occupano del concetto, molto attuale, di Paese di origine sicuro, stabilendo i criteri in base ai quali gli Stati possono designare a livello nazionale una lista (che deve essere notificata alla Commissione europea) di questi Paesi ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale, prevedendo altresì l'obbligo per gli Stati di riesaminare periodicamente la situazione in tali Paesi. La designazione deve basarsi su una serie di fonti di informazione, tra cui EASO, UNHCR, Consiglio d'Europa e altri Stati membri. 
Le circostanze in cui uno Stato membro può considerare un Paese di origine come "sicuro" sono elencate nell'allegato I della direttiva e fanno riferimento non solo a disposizioni legislative in vigore in quel determinato Paese ma anche alla loro concreta applicazione. In particolare, si prevede che un Paese di origine possa essere considerato "sicuro" se "si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni [...] né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale".
Un Paese di origine può essere considerato sicuro per un determinato richiedente solo se questi ne ha la cittadinanza ovvero è un apolide che prima vi soggiornava abitualmente e se "non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non sia un Paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova".
La designazione di un Paese di origine come "sicuro" per un determinato richiedente comporta, come abbiamo visto sopra, l'applicabilità della procedura accelerata (V. sopra, art. 31 par. 8).

Paese terzo sicuro e Paese terzo europeo sicuro
La designazione di un Paese terzo (cioè non il Paese di origine del richiedente né quello che procede all'esame della domanda di protezione internazionale) come "sicuro" comporta la possibilità per gli Stati di giudicare una domanda come inammissibile e dunque non procedere all'esame. In base all'art. 38 ciò è possibile 

  1. se è accertato che nel Paese terzo in questione non sussistono minacce alla vita e libertà del richiedente per le ragioni di cui alla Convenzione di Ginevra; 
  2. non sussiste un rischio di danno grave di cui alla direttiva qualifiche
  3. è rispettato il principio di non respingimento e il divieto di allontanamento in caso di rischio di torture o trattamenti crudeli, disumani o degradanti;
  4. esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e di ottenere tale protezione. 

Per applicare tale concetto è inoltre necessario che gli Stati prevedano norme nazionali in base alle quali i) accertare che vi sia un legame tra il richiedente e tale Stato terzo (che renda ragionevole il suo trasferimento lì); ii) sia previsto un esame caso per caso della sicurezza di un Paese terzo per un determinato richiedente e/o una designazione nazionale dei Paesi terzi che possono essere considerati generalmente come sicuri; iii) sia consentito al richiedente di impugnare l'applicazione di tale concetto e di contestare l'esistenza di un legame con tale Paese terzo. 

In certi casi – previsti dall'art. 39 – tali garanzie sono più deboli. E' il concetto di "Paese terzo europeo sicuro", che permette di giudicare una domanda come inammissibile e dunque non procedere all'esame, nel caso in cui un'autorità competente abbia stabilito "che il richiedente sta cercando di entrare o è entrato illegalmente" da un Paese che 

  1. ha ratificato e osserva la Convenzione di Ginevra;
  2. dispone di una procedura di asilo per legge; e
  3. ha ratificato la Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo e ne rispetta le disposizioni. 

E' comunque sempre prevista la possibilità per il richiedente di impugnare l'applicazione di tale concetto. 

In entrambi i casi (Paese terzo sicuro e Paese terzo europeo sicuro), qualora il Paese terzo non riammetta il richiedente, gli Stati membri hanno l'obbligo di assicurare l'accesso a una procedura di esame in conformità con i principi e le garanzie di cui al capo 2.

E' fatto inoltre obbligo agli Stati di comunicare periodicamente alla Commissione a quali Paesi applicano tali concetti.

Domande reiterate
Secondo l'art. 40, gli Stati hanno l'obbligo (non più la possibilità come nella vecchia direttiva) di esaminare le eventuali ulteriori dichiarazioni o la domanda reiterata (nello stesso Stato), nell'ambito dell'esame della precedente domanda o in fase di revisione o di ricorso, ma solo "nella misura in cui le autorità competenti possano tenere conto e prendere in considerazione tutti gli elementi che sono alla base delle ulteriori dichiarazioni o della domanda reiterata". 
Le domande reiterate sono sottoposte a un esame preliminare di ammissibilità per accertare l'esistenza di "elementi o risultanze nuovi rilevanti per l'esame dell'eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale". Solo qualora da tale esame emergano elementi o risultanze che "aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuita" tale qualifica, la domanda è sottoposta a ulteriore esame (secondo i principi e le garanzie previste al capo 2). Rimane comunque la possibilità per gli Stati di stabilire che una domanda reiterata sia sottoposta a esame anche per altre ragioni. 
Gli Stati possono inoltre stabilire che la domanda reiterata sia sottoposta a ulteriore esame solo se il richiedente, senza alcuna colpa, non è riuscito a far valere gli elementi o risultanze nuovi nel procedimento precedente, in particolare in fase di ricorso.
Qualora una domanda reiterata non venga sottoposta a ulteriore esame, si considera inammissibile ai sensi dell'art. 33.
E' possibile per gli Stati derogare al diritto di rimanere sul territorio nei confronti di chi ha presentato una prima domanda reiterata considerata inammissibile, "al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l'imminente allontanamento" oppure verso chi manifesta la volontà di presentare un'ulteriore domanda reiterata nello stesso Stato membro "a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata [...] o dopo una decisione definitiva che respinge tale domanda in quanto infondata", e solo a patto che tale deroga non violi – a parere dell'autorità accertante – il divieto di refoulement diretto o indiretto. 
In tali casi gli Stati possono anche derogare al diritto a rimanere sul territorio in attesa dell'esito del ricorso. (art. 41) 
L'art. 42 si occupa poi di definire la procedura per l'esame preliminare delle domande reiterate, prevedendo che i richiedenti debbano godere delle stesse garanzie di cui all'art. 12 par. 1, ma lasciando in realtà ampia discrezionalità agli Stati nella disciplina di questa procedura, salvo l'obbligo di non prevedere disposizioni che rendano impossibile o comunque limitino fortemente l'accesso del richiedente a una nuova procedura. E' fatto obbligo agli Stati di informare il richiedente circa la decisione di non procedere all'esame della domanda reiterata e circa la possibilità di presentare ricorso o chiedere il riesame (salva però la possibilità, di cui abbiamo detto sopra, di derogare al diritto a rimanere sul territorio durante il ricorso)

Procedure di frontiera
L'art. 43 stabilisce che gli Stati possano prevedere procedure, nelle zone di frontiera o di transito, per decidere sull'ammissibilità o (nei casi in cui si applichi una qualsiasi delle circostanze che possono portare a una procedura accelerata, V. sopra, art. 31 par. 8) sul merito di una domanda. Tali procedure devono conformarsi alle garanzie di cui al Capo 2 ed esaurirsi entro un termine ragionevole (al massimo entro 4 settimane, dopo di che il richiedente deve essere ammesso sul territorio e la sua domanda esaminata conformemente alle altre disposizioni della direttiva). 

Capo 4 - Procedure di revoca della protezione internazionale


L'art. 44 dispone che gli Stati provvedano affinché "un esame per la revoca della protezione internazionale di una data persona possa cominciare quando emergano elementi o risultanze nuovi dai quali risulti che vi sono motivi per riesaminare la validità della protezione internazionale di quella persona". E' chiaro dunque che: 

  1. deve trattarsi sempre di esami individuali (non sono ammissibili revoche "di gruppo"); 
  2. si deve essere in presenza di elementi "nuovi" (e non di diverse valutazioni di elementi già considerati)

L'art. 45 definisce la procedura, stabilendo: 


  • l'obbligo di informare per iscritto l'interessato anche dei motivi per cui si procede alla procedura di revoca;
  • il diritto dell'interessato di esporre in un colloquio personale o con una dichiarazione scritta i motivi per cui la sua protezione non dovrebbe essere revocata;
  • l'obbligo per gli Stati di provvedere affinché l'autorità competente sia in grado di ottenere informazioni esatte e aggiornate da vari fonti, inclusi EASO e UNHCR;
  • il divieto di ottenere informazioni dai responsabili della persecuzione o del danno grave secondo modalità che potrebbero nuocere all'interessato o ai suoi familiari (non è dunque un divieto assoluto ma relativo).

La decisione di revoca deve essere comunicata per iscritto e specificare i motivi de iure e de facto nonché le modalità per l'impugnazione.

È prevista la possibilità per gli Stati di prevedere che la protezione decada per legge se il beneficiario ha espressamente rinunciato a essere riconosciuto come tale ovvero se è diventato cittadino dello Stato che ha riconosciuto la protezione. 

Capo 5 - Procedure di impugnazione

L'art. 46 che prevede l'obbligo per gli Stati di disporre che il richiedente abbia diritto a un "ricorso effettivo dinanzi a un giudice" nei seguenti casi: 

  1. decisione sulla domanda di protezione internazionale, incluso il caso in cui sia riconosciuta la protezione sussidiaria anziché lo status di rifugiato, salvo che il diritto nazionale preveda per i titolari di protezione sussidiaria gli stessi diritti e gli stessi vantaggi previsti per i rifugiati; sono incluse altresì le decisioni di considerare una domanda inammissibile, le decisioni prese in frontiera o nelle zone di transito, nonché le decisioni di non procedere a un esame sulla base del concetto di Paese terzo europeo sicuro; 
  2. rifiuto di riaprire l'esame di una domanda sospeso a norma degli art. 27 e 28; 
  3. decisione di revoca della protezione internazionale.

Il ricorso deve prevedere "l'esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto".

E' fatto inoltre obbligo agli Stati di prevedere "termini ragionevoli e le altre norme necessarie per l'esercizio, da parte del richiedente, del diritto a un ricorso effettivo". In particolare, i termini prescritti non devono rendere "impossibile o eccessivamente difficile" l'accesso a tale diritto. 
Quanto al diritto per i richiedenti di rimanere nel territorio, il comma 5 lo prevede, in automatico, fino alla scadenza del termine per la presentazione del ricorso o, se il ricorso è stato presentato entro il termine previsto, in attesa dell'esito del ricorso.

Il comma 6 prevede però alcune eccezioni
In particolare, in caso di decisione 

  • di ritenere una domanda manifestamente infondata (art. 32 par. 2) o infondata a seguito di una procedura accelerata (art. 31 par.8), con l'esclusione dei casi in cui tale procedura venga adottata nei confronti di persone entrate illegalmente o che hanno prolungato illegalmente il soggiorno (art. 31, par. 8, lett. h); 
  • di ritenere una domanda inammissibile (con alcune eccezioni); 
  • di non riaprire un caso sospeso ai sensi dell'art. 28 (ritiro implicito o rinuncia alla domanda); 
  • di non esaminare una domanda in caso di applicazione del concetto di paese terzo europeo sicuro


la direttiva prevede che dovrà essere un giudice (su istanza del richiedente o d'ufficio) a decidere se autorizzare o meno la permanenza sul territorio del richiedente (a meno che il diritto nazionale non preveda un diritto automatico a rimanere nel territorio dello Stato membro in attesa dell'esito del ricorso). 

Il comma 6 si applica anche in caso di procedure di frontiera ai sensi dell'art. 43 ma solo in presenza di due circostanze (che devono sussistere entrambe):

  1. il richiedente dispone dell'interpretazione e dell'assistenza legale necessarie e almeno di una settimana per preparare la richiesta "e presentare al giudice gli argomenti a sostegno della concessione del diritto di rimanere nel territorio in attesa dell'esito del ricorso"
  2. il giudice, nell'esaminare la richiesta di rimanere nel territorio, valuti la decisione negativa dell'autorità accertante in termini di fatto e di diritto.


In ogni caso, il richiedente non può essere allontanato in attesa della decisione del giudice sul suo diritto a rimanere. (art. 46, par. 8)


Capo 6 - Disposizioni generali e finali


Tra gli articoli di questo Capo conclusivo segnaliamo:




  • l'art. 50 che prevede che la Commissione presenterà entro il 20 luglio 2017 una relazione sull'applicazione di questa direttiva (con particolare focus sull'articolo 17), proponendo eventualmente delle modifiche;
  • l'art. 51 che prevede l'obbligo per gli Stati di conformarsi alle disposizioni di questa direttiva entro il 20 luglio 2015. E' prevista però anche un'eccezione: gli Stati hanno infatti tempo fino al 20 luglio 2018 per conformarsi all'obbligo di introdurre disposizioni affinché la procedura di esame sia espletata entro sei mesi (prorogabili fino a un massimo di 21), contenuto nell'art. 31, par. 3, 4, 5;
  • l'art. 52, ai sensi del quale le nuove disposizioni si applicano alle domande di protezione internazionale presentate e alle procedure di revoca avviate dopo il 20 luglio 2015 (salva la possibilità di fissare una data antecedente), mentre alle domande presentate e alle procedure di revoca avviate prima del 20 luglio 2015 continuano ad applicarsi le norme della vecchia direttiva procedure; per le disposizioni da recepire entro il 20 luglio 2018 vale ovviamente lo stesso discorso;
  • l'art. 53 che abroga la vecchia direttiva procedure (direttiva 2005/85/CE)