martedì 23 aprile 2013

Il rimpatrio in Ciad di una persona sospettata di appoggiare i ribelli è in violazione della CEDU - Sentenza MO.M contro Francia


Il 18 aprile la Corte europea dei diritti dell'uomo (Quinta Camera) ha emesso una sentenza nel caso MO.M contro Francia (Ricorso n° 18372/10). 
Il caso riguarda un richiedente asilo del Ciad, rigettato sia in prima sia in seconda istanza dalle autorità francesi, e che lamenta che la sua espulsione verso il Ciad costituirebbe una violazione dell'art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo.



Con la sentenza di cui ci occupiamo oggi – che non è definitiva: le parti hanno 3 mesi di tempo per fare ricorso – la Corte, all'unanimità, ha dato ragione al ricorrente
Vediamo come.  





Questi i fatti alla base della controversia.

Il ricorrente, che esercitava il mestiere di commerciante tra il Ciad e il Sudan, veniva accusato da alcuni concorrenti di sostenere (anche economicamente) le forze ribelli dell'est, che combattono il governo ciadiano. Il ricorrente veniva così arrestato dai servizi segreti e messo in prigione, dove veniva bruciato con le sigarette e torturato con scariche elettriche
A sostegno delle sue affermazioni, il ricorrente produceva due certificati medici, di cui il secondo – scritto dopo la decisione negativa in seconda istanza da un medico con esperienza personale dei conflitti nel Ciad – solo davanti alla Corte europea. 

Fuggito dalla detenzione grazie alla complicità di alcuni carcerieri, il ricorrente riusciva a raggiungere la Libia e, da lì, l'Europa. Una volta in Francia, egli militava a favore del partito di opposizione ciadiano RNDP. A sostegno del suo timore di essere nuovamente arrestato e torturato, se rinviato in Ciad, il ricorrente produceva anche un mandato di cattura delle autorità ciadiane emesso nei suoi confronti per aver fornito dei materiali ai ribelli. 

L'OFPRA (l'Agenzia francese incaricata di esaminare le domande di asilo in prima istanza, V. su questo la nostra scheda sul sistema di asilo francese alla pagina Asilo negli Stati europei) respingeva la domanda del ricorrente in data 22 giugno 2007 e la CNDA (la Corte nazionale per il diritto d'asilo, che esamina le istanze di protezione in seconda istanza, V. ancora la nostra scheda qui) rigettava il ricorso in data 3 marzo 2009.
Dopo aver ricevuto un ordine di lasciare il territorio francese, il ricorrente si rivolgeva quindi alla Corte europea per i diritti dell'uomo.


La risposta della Corte

La Corte, dopo aver ricordato i principi generali, si concentra sulla situazione in Ciad e nota (par. 38 della sentenza) che – benché le relazioni con il Sudan siano ora più tranquille dopo l'accordo di pace del gennaio 2010 – le minacce alla sicurezza delle persone rimangono e la situazione resta instabile e dunque appare poco probabile che il trattamento riservato a coloro che sono sospettati di aver collaborato con i ribelli sia ora meno duro. Peraltro, i rapporti delle ONG locali e degli osservatori internazionali testimoniano dell'esistenza di prigioni militari gestite dai servizi segreti

La Corte, inoltre, prende atto dei certificati medici presentati dal ricorrente, che rendono verosimili le torture da lui denunciate. (par. 40)
Quanto all'attualità del rischio, la Corte contesta l'opinione del governo francese circa il mandato emesso dalle autorità ciadiane. In particolare, il governo francese ne metteva in dubbio l'autenticità limitandosi a rilevare che di tale mandato non esistesse traccia nelle banche dati internazionali. La Corte ritiene invece che tale assenza non può essere sufficiente a stabilire l'inesistenza del mandato, essendo gli Stati liberi di diffondere o meno tali atti. 
Peraltro, il ricorrente ha prodotto davanti alla Corte diversi documenti atti a rafforzare la sua posizione, prodotti solo successivamente alla decisione negativa delle autorità francesi: si tratta in particolare del secondo certificato medico di cui abbiamo detto sopra e di un attestato di militanza rilasciato dal presidente del partito RNDP francese. (par. 41) E la Corte sottolinea come la sua militanza attuale – non contestata dal governo – non fa che aumentare il rischio per il ricorrente in caso di rinvio in Ciad. (par. 42)

Pertanto, la Corte ritiene, “sulla base del profilo del ricorrente, dei certificati medici che stabiliscono che ha subito delle torture e della situazione passata e attuale in Ciad, che esiste, nelle circostanze di specie, un rischio reale che egli sia sottoposto a trattamenti contrari all'art. 3 della Convenzione da parte delle autorità ciadiane, in caso di esecuzione della misura di rinvio” (par. 43, traduzione nostra)


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