Arrivi via mare, nuova “emergenza” italiana e solidarietà europea.
Le richieste di Asilo in Europa
Il numero di persone soccorse in mare dall'Italia dall'inizio del 2014 è certamente elevato anche se non completamente inaspettato.
Vista la situazione alle porte dell'Europa, la drammatica crisi siriana e l'instabilità di molti Paesi dall'altra parte del Mediterraneo, non era impossibile prevedere che gli arrivi di migranti e richiedenti asilo sarebbero cresciuti. La Risk Analysis di Frontex che riguarda il terzo trimestre, quindi l'estate 2013, lo conferma: i numeri degli arrivi via mare erano già in aumento.
La risposta dell'Italia a un fenomeno certamente complesso come quello degli arrivi irregolari via mare è stata sempre frammentaria e contraddittoria, in parte apprezzabile (il grande impegno nel salvataggio di vite in mare), in parte condannabile (tra le altre cose, si pensi ai respingimenti verso la Libia) ma costantemente caratterizzata da un'emergenzialità francamente poco comprensibile. L'Italia, per posizione geografica, vicinanza ad aree fortemente instabili e conformazione dei confini non può che essere meta (almeno temporanea) di un gran numero di persone che scappano da guerre e persecuzioni alla ricerca di pace e della possibilità di ricostruirsi una vita. Affermare il contrario o pensare che si possa arrestare questi movimenti di portata storica con provvedimenti legislativi significa semplicemente dire il falso.
Dopo le tragedie avvenute nel mar Mediterraneo lo scorso ottobre – solo le più “mediatiche” della lunga serie di tragedie di questo tipo avvenute negli ultimi anni – l'Italia ha dispiegato una forte operazione militare e di salvataggio come Mare Nostrum, che ha soccorso solo nel 2014 oltre 10 mila persone.
Un'operazione molto costosa e su cui manteniamo dubbi e una posizione critica riguardo alla trasparenza, al coinvolgimento delle organizzazioni internazionali e allo screening a bordo. Per non parlare di pratiche del tutto inaccettabili (vedi questo inseguimento con spari). Tuttavia, un'operazione che rappresenta senza dubbio una risposta importante e diversa da parte di un Paese che fino a pochi anni fa praticava i respingimenti in mare, contro ogni regola di diritto internazionale. Tutto ciò avviene in un contesto in cui alcuni Stati membri dell'Unione rispondono alle crisi internazionali e alle guerre “ai confini dell'UE” alzando muri, sparando proiettili di gomma, e irrigidendo le politiche sui visti.
Pertanto, Asilo in Europa sottolinea con forza che il soccorso in mare deve continuare anche se nei prossimi mesi assisteremo probabilmente ad un ulteriore aumento del numero degli arrivi.
Occorre però che gli altri Stati e l'Unione europea offrano all'Italia sostegno e solidarietà (non solo finanziaria). Se si vuole un Sistema europeo comune di asilo che sia credibile e affidabile è sempre più urgente trovare meccanismi per facilitare la mobilità “intra-UE” dei titolari di protezione internazionale.
Ci si può arrivare con progetti di ricollocamento da un Paese all'altro o, meglio, con un ampliamento delle possibilità di circolare liberamente nell'area Schengen per chi ha ottenuto una protezione internazionale. Ma ci si deve arrivare.
L'attuale situazione economica in alcuni Paesi, ma anche la presenza in altri Stati di familiari o amici che possono offrire sostegno e “rete” di accoglienza, rendono del tutto impensabile che chi ottiene una protezione internazionale possa accettare di rimanere in Italia senza prospettive anziché tentare di trasferirsi in altri Paesi e trovare là opportunità lavorative (anche se irregolari). Non si tratta qui di chiedere strumentalmente l'intervento di Bruxelles per sottrarsi alle proprie responsabilità, anche internazionali, nei confronti dei rifugiati, come pure è stato fatto negli anni passati. Si tratta di intervenire con modifiche opportune alle regole in vigore che ormai non corrispondono più alla realtà. E di farlo per salvare la credibilità del Sistema europeo comune di asilo, non per “aiutare” l'Italia che deve prendersi comunque le sue responsabilità.
Al netto dello sforzo fatto nel campo del salvataggio in mare, infatti, la risposta dell'Italia in termini di accoglienza delle pur molte persone arrivate fino ad ora disegna un quadro ancora una volta contraddittorio. Nonostante l'allargamento dello SPRAR e la previsione di un numero di “posti aggiuntivi” che ogni progetto deve mettere a disposizione in caso di necessità, la prima risposta del governo è stata comunque quella di ricorrere, ancora una volta, come durante la guerra in Libia del 2011, a strutture improvvisate, spesso affidate alla gestione di soggetti che non hanno niente a che vedere con la protezione internazionale. Con tutti i rischi che questo comporta. Mentre ci risulta che i posti aggiuntivi SPRAR non siano ancora stati riempiti, così come parte dei progetti approvati per la prima volta nel 2014.
Consapevole delle difficoltà di gestione di un fenomeno così complesso, Asilo in Europa chiede con forza:
Al Governo italiano
- di non interrompere le operazioni di soccorso in mare anche se questo comporterà un aumento degli arrivi nei prossimi mesi;
- di chiarire quali siano le regole di ingaggio dei militari impegnati nella missione Mare Nostrum e di fare chiarezza sull'episodio testimoniato nel video diffuso dai mezzi di informazione il 24 marzo;
- di finanziare immediatamente i posti SPRAR (ordinari e aggiuntivi) già approvati lo scorso 29 gennaio;
- di preparare, con il coinvolgimento di amministrazioni locali e regionali nonché delle organizzazioni del terzo settore, un piano nazionale di accoglienza credibile che superi finalmente l'approccio emergenziale, costoso e inefficace, che ha sin qui caratterizzato quello che invece deve ormai essere considerato un fenomeno strutturale e gestibile.
Alle Istituzioni dell'Unione Europea
- di considerare con urgenza meccanismi per facilitare il movimento “intra-UE” dei beneficiari di protezione internazionale al fine di salvaguardare la credibilità e sostenibilità del Sistema europeo comune di asilo, migliorare le prospettive di integrazione dei beneficiari di protezione internazionale e, in definitiva, le ricadute sulla collettività.