Il 29 marzo la Commissione
Migrazioni, Rifugiati e Sfollati dell'Assemblea Parlamentare del
Consiglio d'Europa ha adottato un rapporto dal titolo "Vite
perse nel mar Mediterraneo: chi è responsabile?" ("Lives
lost in the Mediterranean Sea: who is responsible?").
Tale rapporto era stato commissionato
dalla stessa Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa a seguito
di un terribile fatto avvenuto a cavallo fra Marzo e Aprile 2011,
quando una barca, partita dal porto di Tripoli con a bordo 72
persone, è rimasta per circa due settimane alla deriva in mezzo al
mare, prima di essere sospinta dai venti e dalla corrente di nuovo
sulle coste libiche.
Dei 72 passeggeri originari, solo 9 sono
sopravvissuti.
Il rapporto – curato da Tineke Strik,
parlamentare olandese – si basa su interviste realizzate a quattro
dei sopravvissuti e testimonianze scritte degli altri cinque; tre
visite sul campo (rispettivamente a Roma, Bruxelles e Malta),
numerose richieste scritte di informazioni (alle quali non tutti
hanno risposto) a NATO, Frontex, istituzioni UE, Paesi coinvolti
nelle operazioni NATO.
Nel rimandare alla lettura integrale
del rapporto, che identifica in maniera puntuale una "serie
di mancanze" che hanno portato alla morte di 63 persone,
all'interno peraltro di un quadro giuridico poco chiaro –
sia per quanto riguarda il diritto internazionale marittimo, sia
quanto alla mancanza di accordi fra la NATO e gli Stati che
partecipavano alla missione in Libia per gestire in maniera
adeguata il (prevedibile) esodo di persone –, di seguito
segnaliamo alcuni punti che sono contenuti nella bozza di risoluzione
proposta dalla Commissione Migrazioni, Rifugiati e Sfollati e che
dovrebbe essere discussa dall'Assemblea Parlamentare del Consiglio
d'Europa prossimamente.
La bozza di risoluzione si apre
ricordando i noti, drammatici, dati delle morti nel mar
Mediterraneo nel 2011. Quindi, si concentra sul tragico fatto
oggetto del rapporto, ne ripercorre i vari passaggi e conclude che ad
emergere è una "serie di mancanze", da parte di
diversi attori:
- le autorità libiche, per quella che fu di fatto un'espulsione di gruppo e per essere venute meno ai loro obblighi nella zona SAR di competenza;
- i trafficanti;
- l'Italia, che, in quanto primo Stato a ricevere la richiesta di aiuto dell'imbarcazione, consapevole dell'incapacità libica di prestare soccorso, avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di coordinare le attività di salvataggio;
- la NATO, che aveva dichiarato la regione "zona militare", ma non ha reagito alla richiesta di soccorso diffusa dall'Italia. Dal rapporto emergono peraltro credibili testimonianze che almeno due navi militari coinvolte nelle operazioni NATO si trovavano nei paraggi dell'imbarcazione in difficoltà;
- la NATO e gli Stati coinvolti nelle operazioni militari, per non aver tenuto in conto, nel pianificare le operazioni, dell'esodo di persone in fuga dalla guerra;
- un (non chiaramente identificato) elicottero militare e una (non chiaramente identificata) grossa nave militare, oltre a un paio (almeno) di pescherecci, anch'essi non meglio identificati, che, pur essendo entrati in contatto con la nave dei migranti, non hanno risposto alle richieste di soccorso;
La bozza di risoluzione individua anche
una mancanza del diritto internazionale marittimo, che non
prevede espressamente chi debba essere responsabile, qualora uno
Stato non sia in grado di rispettare (o semplicemente non rispetti)
i propri obblighi in materia di operazioni di salvataggio nella zona
SAR di competenza.
Seguono poi una serie di
raccomandazioni agli Stati membri, a partire proprio dalla
necessità di colmare questo vuoto normativo, eventualmente anche
modificando la Convenzione SAR.
La bozza di risoluzione chiede poi agli
Stati di affrontare temi estremamente importanti che possono essere alla base
delle mancate risposte da parte di altre navi alle richieste di
soccorso:
- le conseguenze economiche per i proprietari delle imbarcazioni che soccorrano altri natanti in difficoltà;
- la disputa fra Italia e Malta (le cui ragioni sono ben spiegate, da un punto di vista giuridico, all'interno del report, nei paragrafi da 81 a 84) su dove le persone soccorse devono essere sbarcate;
- il timore, da parte di chi si reca in soccorso di imbarcazioni che trasportano migranti, di incorrere in sanzioni, ad es. per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Ancora, nella bozza di risoluzione
troviamo la raccomandazione agli Stati di assicurare il pieno
rispetto del principio di non-refoulement
e di affrontare il tema della distribuzione
delle responsabilità, in
vista del possibile sviluppo di un "Protocollo
vincolante UE per la regione mediterranea".
Troviamo
particolarmente interessante quest'idea che, affrontando anche il
tema della accoglienza e ricollocazione in altri Paesi UE, verrebbe
incontro agli Stati più esposti agli arrivi via mare e porterebbe
probabilmente a una diminuzione del tempo loro necessario per
attivarsi, salvare le persone in pericolo in mare e portarle
sulla terraferma.
La bozza raccomanda
poi agli Stati di rispettare il diritto delle famiglie di conoscere
il destino delle persone morte in mare e, dunque, di migliorare
la raccolta e diffusione dei dati relativi alla loro identità.
Infine,
le ultime raccomandazioni agli Stati riguardano
la scarsa
comunicazione e i fraintendimenti fra il Centro
di Coordinamento del Soccorso Marittimo
di Roma e la NATO, che
non dovranno più ripetersi.
La bozza di
risoluzione indirizza poi una serie di raccomandazioni alla
NATO (e agli Stati coinvolti nell'operazione), chiedendo in
particolare di fare chiarezza su quanto accaduto, di
individuare i mezzi sospettati di non aver dato seguito alle
richieste di soccorso provenienti dalla barca in pericolo, di
indagare su eventuali responsabilità e di tenere in debito conto –
durante la preparazione di future operazioni – i movimenti di persone in fuga, anche attraverso accordi con i Paesi
vicini, per assicurare la protezione dei rifugiati.
La bozza di
risoluzione si conclude con la raccomandazione, molto importante, che
gli Stati membri del Consiglio d'Europa facciano ricorso alla propria
"discrezione umanitaria" per guardare con favore a ogni
domanda di protezione internazionale e di reinsediamento proveniente
da queste persone.