Seminario accoglienza Marsiglia - Journée d'étude Marseille droit d'asile et travail social






Care lettrici e cari lettori, in vista dell’imminente seminario di Marsiglia del 17 ottobre, apriamo una sezione apposita del blog in cui raccoglieremo materiali per facilitare i lavori della giornata di studi e favorire lo scambio tra gli operatori dell’asilo italiani e francesi. Pubblicheremo documenti di presentazione dei sistemi asilo italiano e francese, informazioni sui relatori che parteciperanno al convegno, indicazioni bibliografiche, report ed altri documenti di approfondimento… oltre ai vostri commenti e le vostre osservazioni. Non esitate a sottoporci domande e riflessioni per arricchire la nostra riflessione comune in vista della giornata di studi del 17 ottobre.

Programma della giornata

- Scheda sul sistema di asilo in Francia 

- Presentazione conferenze e tavole rotonde 

- Presentazione di relatori e moderatori



Documenti sul diritto di asilo in Francia




Intervista ad un operatore sociale in Italia ed in Francia


Care lettrici e cari lettori, in vista dell’incontro di Marsiglia abbiamo pensato di arricchire il nostro blog con una breve intervista doppia ad un operatore dell’asilo italiano ed uno francese. Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo intervistato Michele Rossi, responsabile area progettazione e ricerca di Ciac Onlus e moderatore di una delle tavole rotonde in programma a Marsiglia. Per la Francia, invece, abbiamo intervistato due componenti del comitato organizzato della nostra giornata di studi: Roberta Derosas, educatrice presso il Centro di accoglienza per richiedenti asilo gestito dall’Associazione LOGISOL a Marsiglia e Christine Ponsin, coordinatrice del Centro di accoglienza per richiedenti asilo gestito dall’associazione Jane Pannier a Marsiglia. 



1 -Come si è evoluto il lavoro dell’ operatore sociale negli ultimi dieci anni?


Michele: Il lavoro dell’operatore sociale, specificamente nel campo dei servizi di accoglienza e integrazione in Italia, ha dovuto misurarsi con uno spazio interstiziale, quello prodotto dall’urto\scontro tra quelle che potremmo definire – metaforicamente – due moli. Da un lato i sistemi dei servizi territoriali, senza che vi fosse (ed è ben lungi dall’essersi compiutamente definita) una strategia complessiva che definisse ruoli, funzioni e modalità di azione dei diversi enti e servizi pubblici coinvolti; e dall’altro il complesso, articolato e multiforme universo di aspettative, bisogni, risorse e problemi (non sempre facilmente accessibile) emergente dal contatto e della relazione con i “cosiddetti” beneficiari.
Questo spazio e questa funzione di mediazione, (nelle numerose interviste condotte per diversi progetti ritorna spesso l’immagine di una “cerniera” e trova conferma nella mia esperienza personale) è uno spazio critico, sottoposto a diverse e contrastanti tensioni. Definirne identità professionale, funzione sociale riconosciuta, pratiche, strumenti e rischi è stato per molti degli operatori che hanno attraversato l’ultimo decennio un “lavoro nel lavoro”, un impegno nell’impegno; dalla valenza sociale e culturale al tempo. La precarietà – a differenti livelli, dalla precarietà dei “progetti” a quella “contrattuale” e l’assenza di più complessive politiche di Welfare, ha fatto sì che per molti operatori sociali crescesse unitamente al loro know-how professionale e formazione, anche una percezione, forte, di solitudine, di iper-responsabilizzazione nel rendere esigibili diritti in contesti dove tale esigibilità pareva demandata all’impegno personale, prima ancora che professionale, del singolo operatore sociale, spesso unica interfaccia di un sistema disfunzionale, difficilmente modificabile, che obbligava “in absentia” a supplirne carenze e paradossi. Specializzazione e parcellizzazione delle funzioni, approccio creativo e vincolo alle risposte disponibili, individualizzazione dei percorsi e standardizzazione, ma anche costruzione di legami di dipendenza vs autonomia sono apparenti contraddizioni che in questo processo si sono spesso trovate irrisolte. Queste ed altre dimensioni hanno comunque sviluppato un dibattito ed una ricerca che pur contratta dal frenetico ritmo dell’operatività si trova oggi, nella varietà delle diverse esperienze territoriali, a interrogarsi e a sperimentare nuove modalità di abitare, attraversare e interpretare lo spazio dell’azione e della relazione. Anche a partire da una crescente consapevolezza che nel dibattito sull’asilo, nel discorso pubblico sulle politiche dell’asilo, la figura dell’operatore è stata troppo spesso oggetto di rimozione.

Roberta e Christine: Negli ultimi dieci anni, non è possibile di parlare di evoluzione, ma di una regressione del lavoro sociale nell’accompagnamento dei richiedenti asilo e beneficiari della protezione internazionale in Francia.
Questo è determinato da una serie di fattori. Se in precedenza, la competenza delle politiche dell’asilo era gestita dal Ministero degli affari esteri e, per quanto riguarda l’accompagnamento sociale e l’accoglienza, dal Ministero degli affari sociali, a partire dal 2007 la gestione del «sistema asilo» è passata interamente al Ministero dell’Interno.  Inoltre, la diminuzione dei finanziamenti per i centri d’accoglienza ha determinato da un lato il peggioramento delle condizioni di lavoro degli operatori di servizio e, dall’altro, un deterioramento delle condizioni d’accoglienza. Questo ha ad esempio determinato anche un notevole aumento del numero dei richiedenti asilo in carico per ogni singolo operatore. In questo contesto di sovraccarico di lavoro, l’operatore sociale è costretto a dare priorità alla procedura d’asilo e all’accompagnamento giuridico, a scapito dell’accompagnamento sociale e dei percorsi di integrazione.
È importante sottolineare inoltre che l’operatore sociale in Francia si ritrova a lavorare in un contesto in cui i tassi di riconoscimento della protezione internazionale sono sempre più bassi, generando così frustrazioni e tensioni.
Infine, il Ministero dell’interno e, di conseguenza, le Prefetture e le associazioni che gestiscono l’accoglienza dei richiedenti asilo, impongono tempi sempre più rapidi per far uscire più velocemente i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale dai centri, creando tensioni all’interno dei centri e mettendo a rischio il percorso di accompagnamento sociale e la missione stessa degli operatori.  


2 - Quali sono le principali esigenze del richiedente asilo a cui il sistema di accoglienza a tuo parere non riesce a dare risposta?

Michele: Spesso ho potuto constatare manchino le risposte ai cosiddetti bisogni primari. E non è questa una affermazione solo banale. Esprimerla mi serve per evitare la possibile assuefazione. Credo tuttavia che rispetto al richiedente asilo, data anche la disorganicità della legge e dei sistemi di accoglienza dedicati alla prima fase del contatto con il paese d’asilo, manchi un frame di lettura “integrato”. La mancata e tempestiva integrazione delle risposte ai bisogni emergenti nelle diverse dimensioni giuridica, sociale, culturale e sanitaria, il configgere di tempi, modi ed i cortocircuiti che ne derivano, ho l’impressione agiscano come forze centrifughe, che impongano “partizioni” e cesure categoriali i cui effetti investono le fasi successive dei percorsi di accoglienza, integrazione e costruzione dell’autonomia. Tale frammentazione è ipotizzabile che faciliti fenomeni di parziale o totale invisibilità. Ritengo che la grande potenzialità del modello di accoglienza diffusa ed integrata consista proprio nell’attivazione di una intera società\comunità nel partecipare - con quel soggetto competente di sé che è il richiedente asilo - a ricostruire l’involucro che la migrazione forzata spesso manda in frantumi. Credo anche che questa potenzialità debba essere perseguita con maggiore attenzione, scrupolo, rigore e  soprattutto metodo.

Roberta e Christine: Il sistema d’accoglienza non riesce a rispondere alla sua funzione di base: troppi richiedenti asilo non trovano accoglienza nei centri e restano per strada, senza nessun tipo di accompagnamento. Inoltre, nessun programma specifico è pensato o attuato per le categorie vulnerabili.
Nonostante i richiedenti asilo abbiano diritto di lavorare dopo un anno di presenza sul territorio, il loro accesso effettivo al mercato del lavoro è ostacolato, incrementando in questo modo le fila del mercato del lavoro nero.
La riduzione dei fondi ha determinato, allo stesso modo, una riduzione drastica degli interventi degli interpreti anche quando la loro presenza sarebbe indispensabile. 
Infine va aggiunto che sono pochissimi gli interventi volti a favorire l’integrazione dei richiedenti asilo (per esempio corsi di francese).

3 - Quali sono le tue aspettative sul seminario di Marsiglia?

Michele: Acquisire opinioni, strumenti e opzioni per sviluppare il mio lavoro sul territorio e rifornire quel pensiero che prova a focalizzare sul cambiamento dell’ambiente per renderlo più accessibile, equo e possibilmente ricco e capace di trasformarsi, evolvere e non cedere, franare e andare in frantumi come sembra accadere ad ogni ritorno dell’”emergenza”. Troppo spesso il concetto di “resilienza” è stato applicato ai soli richiedenti asilo (specie se vittima di tortura). Penso possa essere applicato ai sistemi territoriali e nazionali. Come funzionano sistemi resilienti? Ho aspettativa di condividere questa domanda e qualche opzione, spunto e ipotesi di risposta.

Roberta e Christine: Le aspettative sono molteplici: conoscere il sistema d’asilo italiano e permettere la creazione di una rete europea di operatori sociali.
La dimensione europea delle politiche di accoglienza rischia di concretizzarsi nei vari paesi determinando un abbassamento della tutela del diritto d’asilo: sarebbe dunque auspicabile che le riflessioni e i suggerimenti degli operatori che lavorano in questo ambito possano contrastare le spinte al deterioramento delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo e proporre modelli comuni capaci di tutelare le persone accolte.*

*Le dichiarazioni riportate in questa intervista non riflettono la posizione delle associazioni ma unicamente quella delle autrici e pertanto è unicamente loro la responsabilità di quanto espresso.





Chers lecteurs, mesdames et messieurs, en vue de la journée d'étude à Marseille le 17 octobre 2014 sur le droit d'asile et le travail social et à fin de faciliter les échanges d'informations entre intervenants sociaux italien et français, nous vous présentons cette nouvelle page de notre blog. Vous pouvez y trouvez des documents de présentations sur le deux systèmes d'asile, italien et français, des informations sur les intervenants, une riche bibliographie, rapports et articles.....et vos commentaires et questions. N'hésitez pas à poser des questions sur les systèmes d'asile italien et français pour enrichir notre réflexion commune en vue de la journée d'étude du 17 octobre.

- Programme de la journée

Document de présentation du système d’asile en Italie

- Présentation conférences et tables rondes 

- Preséntation des intervenants


Documents de présentations sur le système d'asile en Italie











Interview à un travailleur social en France et en Italie



Chères lectrices et chers lecteurs, en vue de la journée d’étude du 17 octobre à Marseille nous avons pensé d’enrichir notre blog avec une brève interview à un travailleur social en France et en Italie. En ce qui concerne l’Italie, nous avons interviewé Michele Rossi, chargé de projet et de recherche de l’association CIAC qui s’occupe depuis longtemps de l’accueil pour demandeurs d’asile à Parme, ainsi que animateur d’une des deux tables rondes prévues dans le programme de notre journée d’étude.  Pour la France, nous avons interviewé deux membres du comité de pilotage de la journée d’études: Roberta Derosas, éducatrice spécialisée dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile à Marseille de l’association Logisol et Christine Ponsin, chef de service dans un centre d’accueil pour demandeurs d’asile à Marseille de l’association Jane Pannier. 



1 - Comment le travail du TS a évolué dans les dernières 10 années ?


Michele: Le travail de l’intervenant social, en relation avec les champs d’intervention de l’hébergement et de la réinsertion en Italie, a dû se confronter avec une réduite marge de manœuvre produite par l’affrontement entre deux réalités, qu’on pourrait nommer métaphoriquement deux « môles ». D’un côté le système d’accueil organisé autour des projets territoriaux (les centres d’accueil) liés au SPRAR (Service central pour la protection des demandeurs d’asile et des réfugies), sans une véritable stratégie globale de définition des rôles, des fonctions et des modalités d’intervention des différents acteurs associatifs et institutionnels impliqués ; de l’autre l’univers complexe, embrouillé, multiforme des attentes, des besoins, des ressources et des problèmes (pas toujours facilement identifiables) créé par le contact et la relation avec les personnes accompagnées.
Cette marge de manœuvre et cette fonction de médiation (dans les nombreux entretiens menés dans différents centres d’accueil, l’image de la « charnière » est souvent utilisée pour décrire le rôle de l’intervenant social, ce qui trouve confirmation également dans mon expérience personnelle) se concrétisent comme espace critique soumis à de tensions diverses et contrastantes. Définir l’identité professionnelle, la fonction sociale reconnue, les pratiques, les outils et les risques de ce travail a représenté pour les travailleurs sociaux ces dernières dix années un « travail dans le travail », un « engagement dans l’engagement » d’une portée à la fois sociale et culturelle.
La précarité- à différents niveaux, de la précarité des « projets » d’accueil et des centres à la précarité liée aux contrats de travail- et l’absence de politiques sociales globales a généré dans beaucoup de travailleur sociaux un fort sentiment de solitude, en parallèle à l’acquisition progressive de compétences professionnelles spécifiques. Dans ce contexte de solitude, le travailleur social a dû faire face à des dynamiques d’hyper-responsabilisation de son action, afin d’assurer l’accès effectif aux droits dans des situations où la protection de ces droits était entièrement déléguée aux efforts personnels, bien avant qu’à sa mission professionnelle. Le travailleur social est en effet très souvent la seule interface d’un système structurellement dysfonctionnant, difficilement modifiable, qui oblige « in absentia » à trouver des stratégies pour remédier è ses paradoxes et à ses manques. 
Spécialisation et fragmentation des fonctions, approche créative et contraintes dans la définition des solutions disponibles, personnalisation des parcours et standardisation de l’accompagnement, construction des liens de dépendance et accompagnement vers l’autonomie…..ce ne sont que certaines des contradictions que dans ce processus de mise en place du système d’accueil n’ont pas encore trouvé de solution.

Toutes ces questions et bien d’autres ont engendré un débat et une recherche qui- même si limités par le contexte frénétique du rythme de travail sur le terrain et dans la variété des acteurs- à l’heure actuelle ont favorisé l’émergence de réflexions et d’expérimentations de nouvelles modalités d’accueil et ont permis de réinterpréter l’espace des actions et des relations.  Ces réflexions s’inscrivent également dans la prise de conscience grandissante que dans le débat sur l’asile et dans les discours publics autour des politiques d’asile, le rôle du travailleur social a été trop souvent et pour trop longtemps refoulé.

Roberta et Christine: Durant les dix dernières années, il n'est pas possible de parler d'évolution mais plutôt de régression du travail social dans l'accompagnement des demandeurs d’asile et des bénéficiaires de la protection internationale en France.
Cette régression a été causée par divers facteurs. Si précédemment la compétence des politiques de l'asile était du Ministère des affaires étrangères et, en ce qui concerne l'accompagnement social et l'accueil, du Ministère des affaires sociales, à partir de 2007 la gestion du "système asile" est passée entièrement sous le contrôle du Ministère de l'Intérieur.
En plus le système d’accueil a subi une progressive diminution des financements, en causant d'un côté la dégradation des conditions de travail des travailleurs sociaux et de l'autre la dégradation des conditions d'accueil. Cela a déterminé, par exemple, une considérable augmentation du taux d’encadrement. Dans ce contexte de surcharge de travail, le travailleur social est donc obligé à donner la priorité dans son travail quotidien à la procédure d'asile et à l'accompagnement juridique, au détriment de l'accompagnement social et des parcours d'intégration.
Il est important de souligner que le travailleur social en France se trouve à travailler dans un contexte où les taux de reconnaissance de la protection internationale sont de plus en plus bas : cela génère pour le travailleur social beaucoup de tension et de frustration.
En conclusion, le Ministère de l'Intérieur et, par conséquent, les Préfectures aussi bien que les associations qui gèrent l'accueil des demandeurs d’asile, imposent des délais de plus en plus strictes pour faire sortir le plus rapidement possible les personnes hébergées dans les centres. Cette pression cause de fortes tensions dans les centres et met en danger le parcours d'accompagnement social et les missions des travailleurs sociaux.


2 - Quelles sont les principales exigences du DA auxquelles le système d'accueil n’arrive pas à répondre ?


Michele: J’ai pu constater que trop souvent des réponses efficaces aux besoins primaires font défaut. Cela n’est pas une réponse banale, car l’affirmer me permet d’éviter toute éventuelle insensibilité. Je crois néanmoins que par rapport au demandeur d’asile- à cause aussi de la législation complexe et des systèmes d’accueil désorganisés et chaotiques surtout dans la première étape de prise de contact avec le pays d’asile- il nous manque un cadre commun d’interprétation et de lecture de l’existant. La défaillante et lente intégration des réponses aux besoins du demandeur d’asile relatifs à la dimension juridique, sociale, culturelle et sanitaire de l’accompagnement ont des conséquences directes sur les différentes étapes des parcours d’accueil, d’intégration et de reconstruction de l’autonomie. J’ai le sentiment que ces problèmes, auxquelles il faut rajouter aussi l’opposition entre la temporalité de l’accompagnement et les contraintes de la procédure, agissent comme des forces contrastantes qui causent des courts-circuits et des ruptures dans l’accompagnement.   
Il est possible de supposer que cette fragmentation engendre des phénomènes d’invisibilité partielle ou totale. Je considère que la grande potentialité du modèle de système d’accueil en diffus sur le territoire national et inscrit localement réside dans le fait que toute la société/communauté d’un territoire s’active pour participer – avec le demandeur d’asile- à reconstruire ce contexte de vie protecteur que la migration forcée a très souvent brisé. Je crois également que cette potentialité devrait être renforcée et soutenue avec une attention majeure, avec plus de soin, de rigueur et surtout de méthode.



Roberta et Christine: Le système d'accueil n'arrive pas à répondre à sa fonction de base : trop de demandeurs d’asile n'ont pas de place dans les centres d’hébergement et restent à la rue, sans aucun type d'accompagnement. En plus, aucun programme spécifique est pensé ou mis en place pour les catégories vulnérables.
Bien que les demandeurs d’asile aient le droit de travailler après un an de présence sur le territoire, leur réel accès au marché de travail est presque impossible : de cette manière les demandeurs d’asile ne peuvent que recourir au marché au noir.
La réduction des fonds a déterminé une importante et dramatique réduction des interventions des interprètes, même quand leur présence serait indispensable.
Et dernier lieu, les interventions qui ont comme but l’intégration des demandeurs d’asile (par ex : les cours de français, les formations professionnelles) sont très peu nombreuses.




3 - Les attentes pour la journée



Michele: Acquérir opinions, outils et idées pour développer mon travail sur le terrain et ressourcer la pensée et la réflexion focalisées sur le changement du système afin de le rendre plus accessible, plus équitable. Réfléchir donc à des solutions pour rendre le système d’accueil plus riche et capable de se transformer, d’évoluer et non pas de régresser et de s’écrouler comme à chaque retour des « situations d’urgence ». Trop souvent le concept de résilience n’a été appliqué qu’aux demandeurs d’asile (spécialement si victime de torture). Je considère que ce concept pourrait également être appliqué aux systèmes d’accueil locaux et nationaux. Comment des systèmes résilients pourraient fonctionner ? J’espère pouvoir partager ce questionnement et bien d’autres idées et hypothèses de réponse.

Roberta et Christine: Les attentes pour cette journée sont nombreuses : tout d'abord connaître le système d'asile italien et permettre la création d'un réseau entre travailleurs sociaux européens.
En partant du constat que la dimension européenne des politiques d'accueil risque de se traduire dans les différents pays en déterminant une baisse de la tutelle du droit d'asile, il serait donc souhaitable que les réflexions et les suggestions des travailleurs sociaux qui travaillent dans ce domaine puissent contraster les éléments de détérioration des conditions d'accueil des demandeurs d’asile et proposer des modèles communs capables de protéger efficacement et dignement les personnes accueillies.  *

* Les déclarations de cette interview ne reflètent pas le positionnement des associations mais elles n’engagent que la responsabilité individuelle.






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