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giovedì 13 novembre 2014

Sentenza Tarakhel contro Svizzera – La Corte europea dei diritti dell'uomo ritiene l'Italia uno Stato non completamente sicuro per i richiedenti asilo più vulnerabili

Con la sentenza, pronunciata il 4 novembre 2014, nel caso Tarakhel c. Svizzera, la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato a maggioranza dei suoi membri (14 contro 3) che, allo stato attuale, il rinvio verso l'Italia di richiedenti asilo particolarmente vulnerabili, quali un nucleo familiare con minori, è suscettibile, in mancanza di adeguate garanzie, di violare il divieto di trattamenti inumani o degradanti, sancito dall'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).




La Corte, per l'ennesima volta, conferma con questa sentenza che la decisione di trasferire uno o più richiedenti asilo verso lo Stato membro competente in base ai criteri  del Regolamento Dublino, deve sempre essere assunta nel rispetto dei diritti umani, dopo un esame rigoroso sia della situazione generale del sistema di asilo di detto Stato sia della situazione individuale dei richiedenti. 

Nel post di oggi commentiamo questa importante sentenza, seguendo il ragionamento che ha portato i giudici della Corte alla decisione e poi confrontando questa sentenza con precedenti della Corte che avevano invece escluso violazioni della CEDU in caso di rinvii verso l'Italia. 


mercoledì 29 ottobre 2014

Sentenza Sharifi e altri contro Italia e Grecia - La Corte europea dei diritti dell'uomo si pronuncia ancora contro i respingimenti

Il 21 ottobre la Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso denominato Sharifi e altri contro Italia e Grecia, ha condannato nuovamente l'Italia per aver respinto indiscriminatamente un gruppo di richiedenti asilo verso un Paese “non sicuro”.
La pronuncia, che interviene a ormai circa 6 anni dai fatti,  richiama ampiamente le argomentazioni sviluppate in due delle sentenze più significative degli ultimi anni in materia di respingimenti (M.S.S. c. Belgio e Grecia del 21 gennaio 2011 e Hirsi Jamaa e al. c. Italia del 23 febbraio 2012).


Nel caso di cui ci occupiamo oggi, così come in M.S.S., il luogo di destinazione "non sicuro" si trovava non sul territorio di un Paese terzo, ma su quello di uno Stato membro dell'UE (la Grecia), e la Corte ha condannato nuovamente la messa in atto automatica da parte degli Stati membri del meccanismo previsto dal regolamento Dublino.


martedì 11 marzo 2014

Espulsione degli stranieri gravemente malati. Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Josef c. Belgio (27 febbraio 2014)

Il 27 febbraio la quinta sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata su un interessante caso riguardante l’espulsione di una cittadina nigeriana affetta da AIDS
La sentenza si aggiunge a quei pochi precedenti giurisprudenziali della Corte relativi all’espulsione di persone bisognose di cure mediche e dimostra la difficoltà di definire dei principi giuridici chiari sul tema. 



Ricordiamo che la sentenza che ci apprestiamo ad analizzare non è definitiva, dato che le parti, dal momento della sua pubblicazione, hanno tre mesi di tempo per presentare ricorso dinanzi alla Grande Camera.


giovedì 7 novembre 2013

Grecia condannata dalla Corte europea per i diritti dell'uomo per il trattenimento di un minore non accompagnato afgano. Caso Housein c. Grecia

Il 24 ottobre la prima sezione della Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso una sentenza interessante ai nostri fini. Stiamo parlando del caso Housein c. Grecia, relativo al trattenimento di un minorenne afgano ai fini della sua espulsione.



La Corte era, in particolare, chiamata a decidere sulla richiesta di condanna della Grecia per violazione dell'art. 3, dell'art. 5 par. 1 e 4 e dell'art. 9 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo


lunedì 16 settembre 2013

La Corte europea dei diritti dell'uomo riapre a possibili rimpatri a Mogadiscio. Sentenza KAB contro Svezia

Il 5 settembre la Corte europea dei diritti dell'uomo (quinta Sezione) ha emesso un'importante sentenza su un caso riguardante l'espulsione di un cittadino somalo
Il caso – KAB contro Svezia – originava dal rigetto da parte delle autorità svedesi della domanda di protezione internazionale presentata dal ricorrente nel 2009. 



Con la sentenza di cui ci occupiamo oggi – che non è definitiva: le parti hanno tre mesi per fare ricorso – la Corte europea dei diritti dell'uomo prende significativamente le distanze dalla posizione espressa nella sua precedente sentenza Sufi ed Elmi contro Regno Unito (da noi analizzata in questo post) del giugno del 2011. 


martedì 30 aprile 2013

La Corte europea dei diritti dell'uomo valuta manifestamente infondato il ricorso contro un trasferimento in Italia dai Paesi Bassi ai sensi del Regolamento Dublino


Anche oggi ci occupiamo della Corte europea dei diritti dell'uomo e lo facciamo analizzando un'altra interessante decisione che ha a che fare con temi a noi vicini.
Stiamo parlando del ricorso n° 27725/10 di Samsam Mohammed Hussein e altri contro Paesi Bassi e Italia, dichiarato irricevibile in quanto manifestamente infondato dalla 3° Camera della Corte con una decisione del 2 aprile. 

Il caso in questione è poi particolarmente interessante ai nostri fini, per almeno due motivi:
- è collegato al tema della circolazione delle persone titolari di protezione internazionale all'interno dell'Area Schengen e, in particolare, al tema dell'abbandono dell'Italia (tema su cui promettiamo di tornare molto presto);
- contiene una valutazione della Corte sul sistema di asilo italiano e sulle sue mancanze; valutazione che probabilmente influenzerà future decisioni di altri Stati in merito al rinvio in Italia di persone ai sensi del Regolamento Dublino.




martedì 23 aprile 2013

Il rimpatrio in Ciad di una persona sospettata di appoggiare i ribelli è in violazione della CEDU - Sentenza MO.M contro Francia


Il 18 aprile la Corte europea dei diritti dell'uomo (Quinta Camera) ha emesso una sentenza nel caso MO.M contro Francia (Ricorso n° 18372/10). 
Il caso riguarda un richiedente asilo del Ciad, rigettato sia in prima sia in seconda istanza dalle autorità francesi, e che lamenta che la sua espulsione verso il Ciad costituirebbe una violazione dell'art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo.



Con la sentenza di cui ci occupiamo oggi – che non è definitiva: le parti hanno 3 mesi di tempo per fare ricorso – la Corte, all'unanimità, ha dato ragione al ricorrente
Vediamo come.  



giovedì 11 aprile 2013

L'espulsione a Kabul di afghani che hanno collaborato con la comunità internazionale non è automaticamente in violazione dell'art. 3 CEDU - Sentenza H. e B. contro Regno Unito


Il 9 aprile la IV Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso una sentenza, non ancora definitiva (le parti hanno tre mesi di tempo per presentare un ricorso), avente ad oggetto l'espulsione a Kabul di due richiedenti asilo afghani che si erano visti rigettare le rispettive domande di protezione internazionale dalle autorità britanniche



La sentenza è molto interessante in quanto ci fornisce l'opinione attuale della Corte con riferimento ad una possibile violazione dell'art. 3 CEDU in occasione di:
- qualunque espulsione verso l'Afghanistan;
- espulsione verso Kabul di persone che hanno a vario titolo collaborato con la comunità internazionale in Afghanistan;

oltre che, ovviamente, in caso di espulsione verso Kabul dei ricorrenti.


martedì 2 aprile 2013

Il rimpatrio di un ceceno costituirebbe violazione della CEDU - Sentenza I.K. contro Austria

Lo scorso 28 marzo la prima camera della Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso una sentenza (non definitiva: il governo austriaco ha tre mesi per impugnarla) sul caso I.K. contro Austria (ricorso n° 2964/12), affermando all'unanimità che il rimpatrio in Russia del ricorrente costituirebbe una violazione dell'art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo.





Questi in sintesi i fatti alla base della controversia.
I.K., russo di origine cecena, era arrivato in Austria con la madre nel 2004. Entrambi avevano chiesto asilo. Il padre di I.K., che lavorava per il leader ceceno Maskhadov, era stato ucciso nel 2001 e lo stesso ricorrente era stato più volte arrestato dai militari russi, subendo in tali occasioni pestaggi e maltrattamenti di vario tipo


sabato 9 giugno 2012

La Corte europea dei diritti dell'uomo sospende un trasferimento dall'Italia all'Ungheria ai sensi del Regolamento Dublino


Il 14 maggio la Corte europea dei diritti dell'uomo ha deciso di chiedere al governo italiano di non procedere al trasferimento in Ungheria, ai sensi del Regolamento Dublino II, di una famiglia di richiedenti asilo in carico allo Sportello Protezioni Internazionali di ASP Poveri Vergognosi di Bologna.

I ricorrenti, rappresentati dall'avvocato Antonietta Cozza del foro di Bologna, avevano lamentato una possibile violazione dell'art. 3 CEDU in caso di rinvio verso quel Paese, dove erano in precedenza transitati.
L'abbondanza e la qualità del materiale raccolto, grazie anche alla collaborazione dell'Hungarian Helsinki Committe, aveva infatti messo in luce le condizioni particolarmente dure che la famiglia avrebbe incontrato al rientro in Ungheria, nonché le carenze della procedura di asilo in quel Paese.

Pertanto, nonostante l'Ungheria avesse accettato la propria responsabilità e tutto sembrasse pronto per il trasferimento, la Corte di Strasburgo ha deciso di indicare al governo italiano di non espellere i ricorrenti, in applicazione dell'art. 39 del suo regolamento, che recita:


Misure cautelari: "1. La Camera o, se del caso, il suo presidente può, su istanza di parte o dei terzi interessati oppure d’ufficio, indicare alle parti le misure cautelari che ritiene debbano essere adottate nell’interesse delle parti o della corretta conduzione del procedimento" 

domenica 26 febbraio 2012

Italia condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo - Sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia


Il 23 febbraio la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Hirsi Jamaa e altri, ha condannato all'unanimità l'Italia per violazione dell'art. 3 (doppia), dell'art. 4 Protocollo n. 4, nonché dell'art. 13 (in collegamento con i due articoli precedenti) della CEDU.
Si tratta di una sentenza molto attesa, che ha immediatamente suscitato un giusto clamore mediatico e numerose reazioni politiche.

La sentenza della Grande Camera, che è definitiva, è infatti una di quelle destinate a restare nella memoria.
I fatti da cui il caso traeva origine sono tristemente noti. Il 6 maggio 2009 circa 200 persone, su tre barche dirette in Italia, venivano intercettate da motovedette italiane, in acque internazionali, all'interno della zona "SAR" (Search and Rescue) di responsabilità maltese. Quindi, venivano trasferite a bordo delle navi italiane e riportate in Libia, da dove erano partite, in conformità agli accordi bilaterali fra Italia e Libia.
Tutto questo, senza essere identificate e senza essere informate circa la loro reale destinazione.

Era l'avvio della c.d. "politica dei respingimenti" che, secondo le parole del Ministro dell'Interno italiano dell'epoca, doveva rappresentare un "punto di svolta" nella lotta contro l'immigrazione irregolare. 
Nel corso del 2009, l'Italia ha condotto 9 operazioni in acque internazionali, in conformità agli accordi bilaterali con la Libia.
Il caso Hirsi Jamaa e altri è il ricorso di 24 cittadini somali ed eritrei - che facevano parte di quel gruppo di respinti il 6 maggio 2009 - contro l'Italia per la violazione dell'art. 3, dell'art. 4 Protocollo n. 4 e dell'art. 13 (in combinato con i precedenti) CEDU.

A distanza di quasi tre anni da quei fatti, la Corte è giunta, all'unanimità, ad una sentenza netta di condanna dell'Italia. Una sentenza che, se non potrà ridare giustizia a quanti negli anni – certo non solo in quell'occasione e non solo dall'Italia – sono stati intercettati e arbitrariamente respinti, speriamo servirà da indirizzo alle politiche relative al controllo dell'immigrazione in Europa.

La sentenza è molto lunga e interessante e se ne consiglia ovviamente la lettura completa, inclusa l'opinione concordante del giudice Pinto de Albuquerque, che si spinge più in là rispetto alla Corte, e tocca fra l'altro un tema ulteriore, di grande importanza, cioè quello del diritto a lasciare un Paese per cercare asilo.

Di seguito ripercorriamo quelli che a nostro avviso sono i punti principali della sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia.

venerdì 30 settembre 2011

Due sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo

Nei giorni scorsi la Corte europea dei diritti dell'uomo (rispettivamente Seconda e Quinta Sezione) ha emesso due sentenze, ancora non definitive, nelle cause H.R. c. Francia e Lokpo e Touré c. Ungheria, entrambe rilevanti ai nostri fini.

Nel primo caso la Corte ha stabilito che il rinvio in Algeria da parte delle autorità francesi di un uomo condannato nel suo Paese al carcere a vita per ragioni legate al terrorismo sarebbe in violazione dell'art. 3 della Convenzione. Lo stato di emergenza in Algeria, che aveva dato vita a numerose denunce da parte di organizzazioni internazionali per casi di tortura ai danni dei sospettati di terrorismo, è stato sollevato nel febbraio 2011. Tuttavia, secondo la Corte è passato ancora troppo poco tempo per poter escludere oggi l'esistenza di queste pratiche.

Nel secondo caso, la Corte ha stabilito che il trattenimento per 5 mesi, da parte dell'Ungheria, di due richiedenti asilo ivoriani è stato in violazione dell'art. 5 della Convenzione, in particolare per la mancanza di motivazione.


Vai alla sentenza H.R. c. Francia
Vai alla sentenza Lokpo e Touré c. Ungheria
Vai al comunicato della Corte europea dei diritti dell'uomo (1)
Vai al comunicato della Corte europea dei diritti dell'uomo (2)
Va al comunicato dell'Hungarian Helsinki Committee

giovedì 14 luglio 2011

Diritto all'obiezione di coscienza – Caso Bayatyan c. Armenia




Il 7 luglio la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani ha stabilito (per sedici voti a uno) che la condanna di un cittadino armeno testimone di Geova a seguito del suo rifiuto di prestare servizio militare, ha violato l'art. 9 della CEDU, così ribaltando la precedente sentenza data sullo stesso caso dalla Terza Camera della Corte.
La sentenza ribaltata della Terza Camera era in linea con la tradizionale giurisprudenza di Strasburgo, secondo cui la Convenzione non garantisce un diritto all'obiezione di coscienza.

Tuttavia, i giudici della Grande Camera ribadiscono che la Convenzione è uno "strumento vivente" (§ 102), che deve essere interpretato alla luce delle condizioni presenti. Essi dunque non possono non tenere conto degli sviluppi che, tanto a livello internazionale, quanto a livello europeo, hanno caratterizzato negli ultimi anni l'approccio degli Stati verso questa materia.
Oggi, Azerbaijan e Turchia sono gli unici Stati membri del Consiglio d'Europa che non prevedono una legge sull'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza.
Pur riconoscendo che la Convenzione non prevede espressamente tale diritto, i giudici di Strasburgo affermano qui che l'opposizione al servizio militare, qualora motivata da un serio e insormontabile conflitto fra l'obbligo di servire e la coscienza personale o i convincimenti (religiosi o di altro tipo) profondi e genuini di un individuo, costituisce una convinzione tale da attrarre la protezione dell'art. 9 CEDU (§ 110) e dunque può essere limitata solo in determinati casi, necessari in una società democratica.

Al di là dell'importanza del caso in sè (l'Armenia aveva nel frattempo rilasciato il ricorrente e adottato un atto di amnistia verso tutti gli obiettori di coscienza), pare che la Grande Camera della Corte abbia voluto chiarire la sua posizione sull'argomento, modificando una giurisprudenza che, oggi, dato il consenso pressoché unanime a livello europeo sull'esistenza del diritto all'obiezione di coscienza, non aveva più ragion d'essere.

Resta però il dubbio: fino a che punto può spingersi la Corte di Strasburgo nel "creare nuovi diritti" (soprattutto su temi più sensibili e controversi)? Si veda a proposito l'opinione contraria del Giudice Gyulumyan.


venerdì 8 luglio 2011

Espulsioni verso Mogadiscio proibite-Caso Sufi ed Elmi contro Regno Unito, 28 giugno 2011




Il 28 giugno la IV Camera della Corte Europea dei Diritti Umani ha deciso all'unanimità, nel caso Sufi ed Elmi, che il Regno Unito violerebbe l'art. 3 CEDU qualora rimpatriasse due cittadini somali condannati ed attualmente detenuti nel Regno Unito per diversi reati gravi. Si tratta di una sentenza importante.